I falsi miti che il voto cancella

I falsi miti che il voto cancella

di Pierangelo Giovanetti

Con l’avvicinarsi del voto del 4 marzo crescono le apprensioni dell’Europa, dei mercati, delle cancellerie per il rischio ingovernabilità e instabilità dell’Italia, visto che assai verosimilmente nessuno vincerà le elezioni.


L’uscita preoccupata di Juncker, presidente della commissione europea, per quanto poi tamponata, è il segnale dell’attenzione e della preoccupazione con cui gli altri Paesi guardano a quanto succederà da noi al termine di una campagna elettorale fra le peggiori della storia, che ha visto anche l’insorgere della violenza estremista e lo scontro fra i fascismi di destra e di sinistra.


Il presidente della Repubblica Mattarella ha fatto subito filtrare alcune linee guida che il Quirinale, arbitro politico e istituzionale, seguirà nel dopo-voto. E ha fatto piazza pulita su tanti falsi miti propalati durante la campagna elettorale, e su molti dei luoghi comuni che vengono ripetuti e rilanciati dai social, ma che non hanno alcun fondamento costituzionale.


Primo punto: la governabilità. Ridicolizzata da molti prima del referendum costituzionale come un non-problema sostenendo che è la rappresentanza che conta garantita dal sistema elettorale proporzionale, ora torna prepotentemente in primo piano come la vera questione centrale. Dato che nessun partito o coalizione riuscirà con tutta probabilità ad ottenere la maggioranza in entrambe le camere, il Capo dello Stato ha chiarito, Costituzione alla mano, che l’incarico di formare un governo non andrà al primo partito, ma a chi sarà in grado di costruire una coalizione di partiti. Nel 2013 Bersani, segretario del primo partito di allora, il Pd, non ricevette l’incarico da Napolitano perché non fu in grado di dimostrare di avere una maggioranza. Così sarà anche questa volta.


Non a caso Mattarella ha accuratamente evitato di incontrare Luigi Di Maio, candidato premier dei 5Stelle, salito al Quirinale per sottoporgli la lista degli eventuali ministri in caso il suo partito risultasse il più votato. Non era mai successo nella storia repubblicana che un candidato si recasse prima del voto dal Presidente della Repubblica, e Mattarella ha semplicemente ricordato al giovane aspirante di Pomigliano d’Arco l’articolo 92 della Costituzione: solo l’incaricato dal Capo dello Stato può presentare una lista dei ministri. E l’incaricato sarà chi è in grado di avere i numeri per la fiducia in entrambe le camere.


Secondo falso mito smontato dal Capo dello Stato semplicemente rimandando alla Costituzione è quello strombazzato in lungo e in largo con lo slogan: «basta premier non eletti dai cittadini».


La tiritera, ripetuta infinite volte nella propaganda generale durante la scorsa legislatura, è infatti una semplice stupidaggine perché nella Costituzione italiana non si prevedono «premier eletti dai cittadini». Tutti coloro che in questi giorni di penosa campagna elettorale, si squarciano la gola affermando di essere il leader pronto a guidare il prossimo governo, si riempiono la bocca del niente. Perché nessuno degli attuali leader di partito sarà il prossimo premier, dato che nessuno dei partiti avrà la maggioranza da solo.


Mattarella ha fatto capire che non scioglierà le camere di nuovo di fronte all’impasse, ma sperimenterà tutte le possibili coalizioni che potrebbero ottenere voti in parlamento. E a capo della coalizione non sarà un leader di partito, ma un personaggio neutro, accettato dagli altri partiti del rassembramento, e in grado di avere i loro voti.


Non è mai esistito (purtroppo) nella storia repubblicana che il premier fosse eletto dai cittadini, ma tutti i governi (anche quelli della seconda repubblica) sono nati in parlamento, in base alle maggioranze che potevano formarsi. Questo non perché c’è stato il «golpe», come molti divulgatori di panzane sono soliti ripetere, ma perché lo stabilisce la nostra Costituzione. Eventualmente va cambiata, ma gli italiani hanno dato ampia dimostrazione, anche di recente - e ripetutamente - di non volere cambiare nulla, confermando il sistema parlamentare che in Italia c’è sempre stato, dagli esecutivi balneari ad oggi, per la bellezza di 64 governi in 70 anni.


Così anche il prossimo presidente del consiglio non sarà eletto dal popolo, ma sarà indicato dal Quirinale, e non sarà un leader di partito ma un garante di coalizioni composite.


Terzo falso mito spazzato via da questa campagna elettorale è l’illusione che il cittadino sceglie con il suo voto il governo del Paese. Avendo gli italiani affossato senza appello il sistema maggioritario (grazie anche all’attivismo militante della Corte costituzionale con delle sentenze «creative» che hanno riesumato il proporzionale cancellato nel 1993 dalla stragrande maggioranza degli elettori), ora al voto di domenica al massimo si sceglie un partito, e gli si dà la delega in bianco di formare un governo. Saranno poi gli eletti a decidere quale esecutivo sosterranno e a quale alchimia parlamentar-politica daranno il loro voto. Non per niente Forza Italia ha già sondato i fuoriusciti dei 5Stelle, inopinatamente messi in lista da Di Maio e già espulsi ma con alta probabilità di essere eletti, per far parte di un eventuale governo guidato da Tajani.


Il prossimo esecutivo (se lo avremo) lo decideranno le segreterie politiche (non i cittadini), e il Presidente della Repubblica prenderà atto di quale «patto» si sarà creato e lo formalizzerà indicando il premier «incaricato» in grado di avere l’appoggio della composita compagnia. Come avveniva nelle lunghissime e noiosissime crisi politiche della prima repubblica.


Infine, quarto mito, quelle delle coalizioni con cui i partiti si presentano al nostro giudizio. Questa è una delle prese in giro più colossali dell’elettore, che crede di votare una coalizione di governo quando in realtà non c’è nemmeno un programma comune che unisce Salvini con Berlusconi per dirne una, o Renzi con la Lorenzin e la Bonino. Non solo non c’è il candidato premier comune (e gli sgambetti quotidiani tra il cavaliere e il Matteo leghista ne sono la plastica evidenza), ma nemmeno uno straccio d’intesa di cosa faranno se eletti insieme. Dimostrazione ulteriore, se ancora ci fosse qualche dubbio, è che non ci sarà nemmeno un comizio finale unitario tra Berlusconi, la Meloni e Salvini, perché sanno già che difficilmente governeranno insieme.


Più facile che il 5 marzo ciascuno vada per la sua strada, formando gruppi parlamentari autonomi, e poi via con le contrattazioni sottobanco trasversali per dar vita a un qualche governo (Salvini con i 5Stelle o Berlusconi con Renzi, o quello che capita).


Ci sarebbe, a dir la verità, un altro falso mito di questa campagna elettorale, da sottolineare. Ma quello sarà sbugiardato il giorno dopo le elezioni. È la fandonia che i soldi da spendere ci sono a volontà per tutte le promesse sparate, basta che ci sia l’intenzione politica. Il tutto svanirà come bolle di sapone la mattina dopo il voto, e la controprova la si è avuta appena Juncker ha detto che l’Italia è a rischio caos, con lo spread schizzato subito alle stelle e gli allarmi di tutti i mercati finanziari internazionali.


Sarà quello, insieme alla garanzia di rispettare i patti e la tenuta dei conti pubblici, che sarà immediatamente richiesta dagli altri Paesi che sono con noi nell’euro, a risvegliare dai tanti sogni alimentati dalle fanfaronate ripetuta a iosa in queste settimane.
Allora si faranno i conti con la realtà. Che Dio aiuti l’Italia.

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