Profughi, non barriere ma canali legali e condivisione

Profughi, non barrierema canali legali e condivisione

di Zenone Sovilla

Chi in Trentino Alto Adige ha criticato ufficialmente le politiche viennesi di chiusura verso i profughi si è ripetutamente esercitato in precisazioni sul senso della «contestazione». Che non era «contro l'Austria».

Allora vien fatto di chiedersi a chi sia indirizzata la peraltro condivisibile manifestazione di biasimo, se non al governo austriaco che si è iscritto con entusiasmo al triste ballo dei nazionalismi barricaderi, inaugurato l'estate scorsa dall'Ungheria di Viktor Orbán, premier dai tratti marcatamente reazionari e iperconservatori.

Certo, è stato ugualmente un bel gesto andare al Brennero e sbracciarsi a Roma, malgrado lasci un certo retrogusto amaro constatare che una parte degli astanti (e soprattutto degli assenti) si sia attivata davvero contro le barriere soltanto quando a rischiare la separazione era il suolo del grande Tirolo (per non parlare di chi, al contrario, si spertica in lodi dell'autarchia viennese).

Comunque sia, lo scenario, oggi ci mostra una risposta di numerosi Paesi europei, in balìa di una paranoia nazionalista, che unendosi dettano all'Europa una linea grottesca e surreale: aumenta il numero di disperati in fuga dalle guerre (o comunque da condizioni insopportabili) e dunque bisogna urgentemente ridurre al minimo i nostri dispositivi di accoglienza. Cioè si fa il contrario del necessario.

Il tutto, ovviamente, contravvenendo a una serie di norme e convenzioni internazionali, per non dire dei principî fondativi e storici dell’Unione europea.

Quindi, barriere alle frontiere. Per trasferire il problema in un infinito altrove, purché fuori dai sacri confini nazionali e lontano dalle emozioni di popoli sobillati da propagande spietate.

Al momento a farne le spese è soprattutto la povera Grecia, non propriamente il più attrezzato dei Paesi europei; ma anche l'Italia, proseguendo di questo passo, rischia di ritrovarsi sola o quasi a gestire flussi specialmente via mare.

È il nazionalismo 3.0; altro che Altiero Spinelli e il manifesto di Ventotene: vecchi e soprattutto nuovi membri della Ue pensano a prendere e assai poco a dare alla comunità.

Vedi le riprovevoli manovre diplomatiche austriache per sigillare i Balcani.

Si calpestano i più elementari sentimenti umanitari assumendo e orchestrando politiche che ci allontanano da un percorso razionale di fronte a una crisi così grave, con migliaia di vite in gioco, genitori e bimbi bloccati nel fango di qualche dogana gelida.

Quasi tutti gli Stati deragliano, in questo processo di integrazione europea inceppato; ma in troppi ormai esagerano smodatamente.

Che si tratti di erigere grottesche barriere anti-profughi, di confiscare beni agli stranieri, di ripristinare le dogane, di imbavagliare stampa e dissenso, di svuotare la partecipazione democratica informata, di infierire su minoranze etnico-culturali…

Abbiamo, fra le altre «perle», il rifiuto di accogliere quote di fuggitivi già stabilite e condivise negli accordi dell'anno scorso. Oppure la determinazione unilaterale del numero di persone cui è consentito il transito verso Nord (la prassi austriaca) o ancora l'introduzione di dispositivi illegali, come la selezione su base nazionale dei richiedenti asilo, cioè la negazione del diritto soggettivo (per intenderci, non si può dire che si accettano domande solo dai siriani e gli afghani per esempio vengono rispediti indietro, dove fra l'altro non si sa...).

E contrariamente alle menzogne diffuse dalla propaganda xenofoba, la maggioranza delle persone che chiedono protezione in Europa attualmente sono donne e minori.

Il quadro generale è drammatico, alimentato da un contesto geopolitico mediorientale sconvolto da conflitti in vari casi catalizzati anche dalle strategie diplomatiche, economiche e militari occidentali, turche, russe...

È una situazione complessa, da affrontare su una molteplicità di scenari, che richiede l'elaborazione di risposte altrettanto articolate, sofisticate, razionali e generose; per evitare il peggio a noi tutti.

Invece assistiamo a riflessi condizionati autoreferenziali che generano pratiche primitive e del tutto inadeguate, destinate soltanto a trasferire (temporaneamente) e ad aggravare i sintomi di una crisi umanitaria originata dalle guerre ma poi amplificata in Europa dall'atteggiamento egoista di troppe nazioni, che perciò andrebbero sanzionate severamente.

Non dimentichiamo, fra l'altro, che la grande massa dei profughi è ospitata, in condizioni talora molto difficili, da Paesi vicini: milioni e milioni di persone negli accampamenti, mentre da noi alcune centinaia di migliaia in movimento hanno causato la paralisi minando il patto di solidarietà continentale.

Posto che una soluzione semplice non esiste, appare evidente che l'unica via percorribile è il contributo di tutti i Paesi, europei e non, nell'accoglienza alle vittime delle guerre, mentre sullo scacchiere diplomatico bisogna favorire con forza un processo di stabilizzazione (ma senza l'avventurismo bellico visto in passato, foriero solo di altra violenza tra vendette e risentimenti) e la lotta decisa al terrorismo dell'Isis e dei suoi alleati (che oltretutto considerano infedeli proprio quei profughi che se ne vanno e chiedono aiuto all'Europa).

In questo contesto, il Trentino si è reso partecipe di un'iniziativa emblematica di cui essere fieri, che ha dato corpo alla richiesta ripetuta invano da anni dalle organizzazioni umanitarie, specie di fronte all'orrore delle decine di migliaia di annegati vittime dei trafficanti di esseri umani ma anche di politiche asfittiche e inconcludenti: la creazione di canali legali per l'arrivo in Europa di profughi e migranti.

Se questa prassi dei corridoi umanitari e dei controlli a monte fosse concertata e coinvolgesse l'ìintera comunità internazionale, saremmo finalmente di fronte a una risposta razionale e a un incremento dell'efficacia delle politiche occidentali (e non solo): se ogni Paese fosse coinvolto, i flussi e l'accoglienza sarebbero largamente gestibili. Ne guadagnerebbe anche la sicurezza.

Con buona pace di chi - probabilmente ignaro della realtà di una guerra - sulle tragedie umane costruisce carriere politiche e patrimoni elettorali, sbraitando senza ritegno, con l'imbarazzante complicità di molti mass media.

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