Come viveve (un po' meglio) una vita uberizzata

Una vita uberizzata. L’altro giorno a Parigi c'è stata la protesta dei tassisti di Parigi contro Uber,

di Paolo Micheletto

Una vita uberizzata. L’altro giorno i siti e i giornali francesi hanno seguito in tempo reale la protesta dei tassisti di Parigi contro Uber, l’app che offre il trasporto urbano a prezzi inferiori rispetto alle auto pubbliche e che ormai è presente in 250 città del mondo. In Italia il giornale che ha offerto la migliore copertura giornalistica è stata La Stampa, che ha dedicato una pagina - firmata da Massimo Russo - appunto al nostro futuro «uberizzato».

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Sì, perché una delle tante rivoluzioni di Internet riguarda il superamento di tanti corpi intermedi della società, molte categorie sociali, economiche e professionali che si trovano all’improvviso superate: i tassisti, le agenzie di viaggio, gli operatori del turismo, i giornalisti e molti altri che offrono servizi o prodotti da luogo a luogo oppure che mettono in comunicazione luoghi, eventi e persone.

Viaggiare con Uber, dormire e soggiornare con Airbnb, usare sistemi di sharing economy diventa quindi non solo economico e più facile rispetto ai sistemi tradizionali, ma una scelta di rifiuto verso una buona parte del mondo come finora l’abbiamo conosciuto. Questi servizi hanno spesso rotto un monopolio o spezzato situazioni di privilegio. Hanno accettato le regole del mercato e quasi sicuramente moriranno delle stesse: a New York va per la maggiore il servizio dei minibus che mette insieme i viaggiatori che devono seguire lo stesso percorso da una parte all’altra della città, permettendo quindi di dividere i costi. Uber, quindi, sembra già vecchia.

Tutto bene, quindi? Il tema è affascinante. Un ragazzino che inventa un nuovo sistema nel chiuso della sua camera da letto fa «saltare» corporazioni e schemi consolidati da decenni: wow. Opporsi a questi processi non solo è sbagliato ma non è neppure giusto. È questo il mondo che ci tocca vivere e non si può fermare.

Ma lasciare per strada chi perde il lavoro di una vita è altrettanto ingiusto. Da utenti e consumatori il nostro potere può essere utilizzato in tutta la sua grandezza, scegliendo ad esempio i servizi che pagano le tasse, che non strozzano i fornitori, che non maltrattano i lavoratori o pongono condizioni capestro che in altri settori non accetteremmo mai. Con queste attenzioni non saranno solo Uber, Amazon o Google a decidere come vogliamo vivere. E la sacrosanta competizione tra il «nuovo» e le vecchie corporazioni potrà premiare davvero il merito, con regole giuste.

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