Elezioni / Quorum

Referendum flop, votanti al 14% (anche in Trentino), la sconfitta di Salvini, che attacca la stampa

Gli italiani non sono andati a votare sulla giustizia, cavallo di battaglia della Lega che si era impegnata in una lunga campagna di gazebi

ROMA. Per i referendum sulla Giustizia e sull'abolizione della legge Severino è nulla di fatto.

Affluenza molto bassa, e lontanissima dal quorum come da previsioni della vigilia, anche in regione per i referendum sulla giustizia.

In Trentino si è recato ai seggi il 14.93% degli aventi diritto, in Alto Adige l’11,03%.

Vince il sì in tutti e 5 i quesiti in Trentino. Il referendum 1 (Incandidabilità dopo condanna) ha registrato il 57,36% dei sì, il 2 (Limitazione misure cautelari) il 59,76 %, il 3 (Separazione funzioni dei magistrati) il 78,23 %, il 4 (Membri laici consigli giudiziari) il 77,28 %, il 5 (Elezioni componenti togati CSM) il 77,62 %.

In Alto Adige vince il no nei primi due quesiti (distinguendosi dal resto d'Italia), il sì nei restanti. Nel dettaglio, il referendum 1 (Incandidabilità dopo condanna) ha registrato il 66,05 % dei no e il 2 (Limitazione misure cautelari) il 64,67 % dei no. Il sì prevale nel 3 (Separazione funzioni dei magistrati) con il 53,60 %, nel 4 (Membri laici consigli giudiziari) con il 53,13 %, e nel 5 (Elezioni componenti togati CSM) con il 53,32 %.

A livello nazionale, quando mancano meno di mille sezioni su 61.569, si registra una cinquina di sì, rispettivamente con il 54,08% (Incandidabilità dopo condanna), il 56,21% (Limitazione misure cautelari), il 74,14 % (Separazione funzioni dei magistrati), il 72,09 % (Membri laici consigli giudiziari) e il 72,66 % (Elezioni componenti togati CSM).

Sui cinque quesiti Radicali e Lega Salvini si sono battuti in una dura campagna referendaria, denunciando a più riprese il silenzio dei media. Quanto abbia contribuito la scarsa affluenza è difficile da stabilire, ma basta fare il confronto con il referendum del 7 aprile 2016 sulle trivelle, che ebbe una affluenza del 33% a chiusura urne, per avere un quadro di quanto accadrà con i quesiti sulla giustizia. Un quadro tanto netto da far ritenere quasi superflua la necessità di attendere i primi exit poll condotti in uscita dai seggi per rendersi conto, ben prima della chiusura delle urne, che l'obiettivo di chi intendeva introdurre una serie di cambiamenti in materia di magistratura e di amministrazione della Giustizia non è stato centrato.

Un dato che, oltretutto, accomuna questo referendum alle consultazioni referendarie che si sono svolte in Italia nell'ultima decina d'anni. Ma in fondo, il flop sembrava annunciato da giorni. E temuto da tutti coloro che hanno spinto fino alla fine i 5 quesiti.

Il referendum è stato inserito nel contesto di un election day, in contemporanea con le elezioni amministrative in 971 comuni, tra cui la grande Palermo, dove i problemi per la costituzione dei seggi e l'avvio delle votazioni non sono stati pochi, causa i forfait di scrutatori e presidenti di seggio.

Ma i promotori, tra cui Matteo Salvini, hanno sempre battuto sul tasto della scarsa comunicazione, a tutti i livelli, sui quesiti. Si sono appellati anche a Sergio Mattarella e a Mario Draghi, chiedendo loro di fare un appello al voto. La Lega aveva accusato senza tanti giri di parole i media di non aver dato abbastanza spazio al dibattito ed all'approfondimento delle ragioni del sì e del no ai cinque quesiti sulla riforma della giustizia.

Oggi il leghista Calderoli ha parlato di un "complotto per far fallire il referendum", accusa gravissima ma non supportata da fatti circostanziati.

Un'accusa condivisa da Silvio Berlusconi, secondo cui i referendum sulla giustizia «sono stati boicottati con il voto in un giorno solo. Sono stati boicottati con il silenzio assoluto su molti giornali e sulla televisione di Stato». Il tutto, sostiene il leader di Fi a urne aperte, sarebbe in linea con «una volontà precisa di mantenere le cose come stanno e gli italiani che non vanno a votare e se ne stanno a casa. Siamo dei masochisti».

In questo contesto, la Lega non manca di rilevare le difficoltà di una campagna elettorale in cui si è sentita in fondo lasciata sola dal resto del centrodestra. A partire da Fratelli d'Italia. Per il Carroccio, dunque, il risultato referendario ha il sapore di una battuta d'arresto, che potrebbe pesare ulteriormente anche nei già complicati rapporti interni alla coalizione.In ogni caso, c'è comunque chi spera che il mancato raggiungimento del quorum non fermi l'iniziativa legislativa in corso in Parlamento. Anche nel centrosinistra, i cui leader ieri hanno tenuto cucite le bocche rinviando, come anche Matteo Renzi, qualsiasi commento al giorno successivo.«Dobbiamo lavorare con ancora più determinazione per dare le giuste risposte su temi importanti e delicati», riflette Andrea De Maria del Pd.

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