Salute / I dati

Cinque anziani su 100 non sviluppano anticorpi dopo il Covid, la ricerca dell’Opera Romani di Nomi

Un vasto screening sugli ospiti, rivela che non basta essere stati ammalati per essere immuni: «Ma è un fisiologico fenomeno di senescenza immunitaria»

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di Luisa Pizzini

NOMI. Cinque anziani su cento, tra quelli che hanno completato il ciclo vaccinale, non sviluppano gli anticorpi in grado di proteggerli o comunque di aiutarli a combattere il Covid-19. Il dato, che di fatto conferma quelli noti sulla percentuale di copertura dei vaccini, emerge da uno screening che la casa di riposto Opera Romani di Nomi ha fatto su tutti i suoi ospiti in collaborazione con le case di riposo di Avio e di Cavedine. Ed è il primo dato reale che ci aiuta a comprendere qual è la situazione reale all'interno di queste strutture. Ma più in generale anche di qual è il grado di protezione degli anziani che si sono vaccinati.

«Dopo aver vaccinato tutti gli ospiti delle nostre caso di riposo, assieme alla Apsp di Avio e Cavedine, abbiamo deciso di sottoporli ad uno screening sulla risposta vaccinale. E i dati ottenuti da questo screening ci indicano che circa il 4-5% di loro mostra un livello di risposta anticorpale bassa, non sufficiente cioè a proteggerli» spiega il direttore dell'Opera Romani di Nomi, Livio Dal Bosco.

«Sono fenomeni di senescenza immunitaria, legati cioè all'invecchiamento. Fenomeni che riguardano un po' tutti gli apparati in una persona anziana, non solo quello immunitario».

Le informazioni emerse da questo studio, il primo a fornire un'immagine reale della situazione dopo la vaccinazione, sono dunque in linea con quanto ci ha detto la scienza fino a qui. É risaputo infatti che l'efficacia del vaccino dipende proprio dalla reazione soggettiva del sistema immunitario, che in taluni casi può non essere sufficiente.

«Per questo motivo va comunque applicato quel principio generale di prudenza, come sempre in epidemiologia - continua il direttore Dal Bosco -. Noi a questo proposito effettuiamo un'attenta sorveglianza sugli eventuali sintomi, pur favorendo l'incontro tra le famiglie. Conosciamo bene infatti gli effetti benefici di questi incontri: siamo stati i primi, già a marzo, ad aver aperto le case di riposo sulla base di un protocollo che è stato poi adottato anche a livello nazionale. E da allora non abbiamo più avuto contagi di ospiti all'interno della struttura».

Insomma, la consapevolezza che tra gli anziani delle Rsa ci siano persone che rimangono bersagli fragili per il Covid impone un'attenzione costante nei loro confronti, ma non preclude il fatto che possano vivere normalmente all'interno della casa di riposo ed incontrare i propri familiari, con le dovute accortezze. «Raccomandiamo ai familiari un principio di prudenza ed attenzione per prevenire eventuali sorprese - conclude Livio Dal Bosco - ma teniamo conto anche del fatto che tutti coloro che accedono per le visite devono avere il green pass e quindi hanno fatto la doppia vaccinazione, un tampone recente o sono guariti dal Covid da meno di sei mesi. Dunque un certo livello di protezione c'è».

Lo screening effettuato dall'Opera Romani insieme alle case di riposo di Cavedine ed Avio dunque offre più di uno spunto di riflessione. Per chi è ospite ed anche per chi lavora all'interno di queste strutture, ma anche per il resto della comunità che convive con gli anziani. Non si può abbassare del tutto la soglia di attenzione anche dopo aver ricevuto le due dosi di vaccino, che comunque aiutano a contrastare gli effetti del virus, ma allo stesso tempo lo studio con i suoi dati dimostra che convivere con questa situazione è possibile mettendo a punto dei protocolli per limitare al massimo il rischio contagio.

«Quello a cui dobbiamo stare particolarmente attenti - spiega infine il direttore dell'Opera Romani - sono le varianti che potrebbero modificare ulteriormente questo quadro».

Diverso è l'approccio per quanto riguarda il personale di queste strutture, sul quale al momento non è possibile effettuare uno screening.

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