Business / Le cifre

Le imprese di stranieri aumentano del 16%, quelle italiane calano del 3,2%

Un trend positivo da dieci anni, le ditte sono ormai il 7,2 di quelle totali: albanesi e romeni nell’edilizia, marocchini e cinesi nel commercio al dettaglio

di Chiara Zomer

TRENTO. Gli stranieri che vivono in Trentino hanno sempre più voglia di fare impresa. A dirlo sono i numeri, che danno il senso di un trend in crescita importante negli ultimi anni e costante da un decennio. Attualmente sono 3.668 le imprese in cui il titolare non ha la nazionalità italiana, il 7,2%.

Un mondo variegato in cui le luci coesistono con le ombre, all'interno del quale ci sono storie di imprenditoria vincente, così come, al contrario, partite Iva che rischiano di nascondere lavoro poco tutelato. Ed è evidentemente su questo pericolo che puntano il faro i sindacati, chiedendo controlli e tutele. Ma non mancano neppure gli imprenditori che partendo spesso da zero hanno messo in piedi piccole aziende solide, capaci di reggere anche l'urto del Covid.

Partendo dai dati, il Trentino non è un isola a parte, anzi, la percentuale di imprese straniere è inferiore a quelle nate a livello italiano (10.4%) e nel resto del Nordest (11,3%). Ma sicuramente è da dieci anni che l'aumento è costante e sensibile: dal 2011 ad oggi si parla di una crescita del 16,6%, che si accompagna però ad un calo del 3,2% del numero totale di imprese provinciali.

Per quanto riguarda i settori d'attività, in assoluto quello che vede più ditte straniere è quello delle costruzioni (978 imprese, il 26,7% del totale) e, a seguire, il commercio (775, 21,1%), il turismo (512, 14%), i servizi alle imprese (365), trasporti e spedizioni (217), manifatturiero (199), agricoltura (176), assicurazioni e credito (26).

Nella maggior parte dei casi rimangono, tuttavia, ancora aziende di limitatissime dimensioni. Solo il 18,3% sono società di capitali, l'11,3% società di persone, lo 0,4% sono cooperative, ma il 70% del totale, 2.566 in tutto, è formato da ditte individuali. E sul punto, soprattutto in alcuni settori - che sono poi quelli con grande presenza straniera, come costruzioni e trasporti - è evidente che un ragionamento va fatto.

Lo fa Andrea Grosselli, segretario provinciale della Cgil, incrociando i due dati: «Quel che va verificato, è che ci siano ditte che non sono davvero ditte, ma che mascherano dietro la partita Iva il lavoro dipendente. Nell'edilizia soprattutto, c'è un problema di frammentazione del lavoro, il 90% delle aziende ha una media di 1,5 dipendenti. Significa che ci sono moltissime ditte individuali, a volte usate per scaricare costi. Altrettanto vale con i trasporti e le spedizioni, con i padroncini. Servono controlli rigorosi, soprattutto adesso che c'è un boom dell'edilizia, perché si rischia che si abbassino i livelli di tutela».

Il tema c'è e non va sottovalutato, soprattutto alla vigilia di un piano d'investimenti pubblici espansivo che dall'edilizia conta di ripartire. Ma in quei numeri, anche nell'edilizia, c'è anche il dinamismo di chi ha voluto costruire qualcosa mettendosi in proprio: «Ci sono le false partite Iva, ma ci sono anche stranieri, quasi sempre di seconda generazione, che dopo un'esperienza lavorativa lunga in aziende grosse, si sono messi in proprio e hanno assunto lavoratori - osserva Matteo Salvetti, segretario provinciale della Feneal Uil - Non è un fenomeno di per sé né buono né cattivo. Anche dal punto di vista delle garanzie dei dipendenti, direi che il grosso problema del settore è il sottoinquadramento, ma riguarda tutti. Diciamo che le imprese straniere hanno i medesimi vizi e le medesime virtù di quelle italiane».

Ma chi sono gli imprenditori stranieri attivi in Italia? È possibile dirlo sono per le ditte individuali. E in questo gruppo, il Paese più rappresentato è l'Albania (345 imprese individuali, il 13,4% del totale). A seguire la Romania (282 imprese, l'11%), il Marocco (219, 8,5%), la Cina (155, 6%). Quanto ai settori d'attività, a quanto pare albanesi e rumeni sono particolarmente presenti nel mondo delle costruzioni, mentre marocchini e cinesi sono più dinamici nel commercio al dettaglio.

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