giovedì, 25 aprile 2024

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Pandemia / La disputa

Uso dei test rapidi: lo scontro tra il prof. Crisanti e la sanità veneta guidata dal trentino Flor

La vicenda è già finita in Procura, mentre gli esperti regionali respingono le conclusioni del noto microbiologo sulla scarsa affidabilità dei tamponi antigenici: «Abbiamo dimostrato che non è così, solo 12 casi di incongruenza su 1.441 verifiche doppie». Intanto è polemica anche sulle riaperture, con lo studioso che prevede una pesante quarta ondata a fine maggio ma viene smentito dall'infettivologo genovese Bassetti: «Non credo proprio»

di Zenone Sovilla

TRENTO. Non solo continua ma sale di tono la battaglia scientifica, ma secondo alcuni osservatori con un sottofondo composto anche di lotte interpersonali e forse anche politiche, fra il noto microbiologo Andrea Crisanti, professore ordinario all'Università di Padova, e la Regione Veneto.

Crisanti nei primi mesi della pandemia era stato il principale ispiratore delle strategie anti-covid dell'ente guidato da Luca Zaia, per poi entrare invece in rotta di collisione per divergenze fra l'altro sulla scelta regionale di utilizzare a tappeto i test antigenici rapidi.

Secondo Zaia, questa decisione ha consentito di individuare e di isolare velocemente migliaia di persone contagiose, riducendo così la trasmissione del virus in Veneto (e dintorni).

Viceversa, secondo Crisanti, i tamponi antigenici (che si processano in un quarto d'ora grazie a un apparecchio portatile) risultano troppo poco sensibili rispetto ai test pcr (quelli molecolari da analizzare in laboratorio): il risultato sarebbe che troppi soggetti positivi si sono persi per strada, con il conseguente peggioramento del quadro epidemiologico reale.

Nel mirino delle critiche mosse da Crisanti, fra gli altri, c'è il direttore generale della Sanità, il noneso Luciano Flor (nella foto, a destra, accanto a Zaia), esperto che prima di tornare in Veneto aveva diretto l'Apss di Trento.

Va peraltro aggiunto che col passare dei mesi le divergenze fra Zaia e Crisanti sono cresciute più in generale anche in fatto di gestione dell'emergenza, che il presidente veneto cerca di orientare via via verso un complesso equilibrio che eviti i lockdown severi, mentre il microbiologo si spende nel lanciare allarmi sui rischi sanitari e chiedere zone rosse più stringenti.

Ce n'è abbastanza per scatenare uno scontro destinato a riverberarsi anche nei palazzi di giustizia.

Crisanti (nella foto qui sotto) ha riportato in marzo le sue conclusioni in un articolo su medRxiv dedicato allo studio “Emersione di varianti genetiche dell’antigene N SarsCoV-2”, svolto dal microbiologo insieme ad altri ricercatori del dipartimento di medicina molecolare dell'Università di Padova.

Secondo questa analisi di laboratorio, ha riferito l'esperto, i tamponi antigenici usati dalla Regione risultavano "affidabili al 70 per cento, cioè non rilevavano il 30 per cento dei positivi".

Per Crisanti, dunque, è una metodologia di test utile negli screening di massa, per esempio nelle scuole, ma sarebbe imprudente utilizzarli come sostituti di tamponi molecolari mirati su persone che si sospetta siano malate.

Accuse, rilanciate la settimana scorsa anche a Report Raitre, che l'apparato scientifico regionale respinge in blocco, ritenendo di poter confutare gli stessi dati forniti nello studio di Crisanti e colleghi.

E quattro giorni fa si è saputo che Crisanti è indagato da inizio marzo, per l'ipotesi di diffamazione, dalla Procura di Padova dopo una segnalazione di Azienda Zero, il braccio operativo della Regione, secondo la quale le critiche dello scienziato al sistema di prevenzione covid - in particolare l'uso generalizzato dei test rapidi - "avrebbe gettato discredito sulla sanità veneta".

Il microbiologo ha reagito con durezza tirando in ballo Galileo Galileo e l'Inquisizione. "Non ci voglio credere e mi sembra assurdo. È dai tempi di Galileo che una Procura non si occupa di giudicare un articolo scientifico”, ha detto all’Adnkronos, muovendo nuove critiche allo stesso Flor.

Per quanto riguarda il merito delle affermazioni dello studioso, la Procura di Padova ha aperto un'inchiesta per verificare se i test rapidi siano affidabili, ovvero se siano in grado di rispettare le prestazioni diagnostiche promesse delle aziende farmaceutiche.

La settimana scorsa sul punto è arrivata anche la replica ufficiale della Regione Veneto, nel corso della conferenza stampa quotidiana sulla pandemia.

Accanto al presidente Zaia sono intervenute Antonia Ricci, direttrice generale dell'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, e FrancescaRusso, che  è lesponsabile della prevenzione.

Le due esperte, in sostanza, hanno affermato di poter confutare le conclusioni dello studio promosso da Crisanti.

Sul fronte tamponi, Ricci ha commentato: «Questo lavoro ha confrontato i risultati dei test anti-genici e di quelli molecolari su 1.441 pazienti.

Sono stati riscontrati 18 casi incongruenti, in cui cioè il molecolare era positivo a fronte di un rapido negativo.

Di questi, solo 12 sono poi stati studiati ulteriormente, perché il molecolare era un vero positivo, mentre negli altri 6 aveva una soglia molto bassa di positività.

Dei 12, soltanto 8 sono stati sottoposti a sequenziamento completo e solo su 3 è stata trovata la doppia mutazione della proteina N, che potrebbe essere la causa del fatto che l'antigenico non è in grado di diagnosticare l'infezione.

Sono stati però sequenziati anche virus in cui il risultato era concordante fra molecolare e antigenico e pure in alcuni di questi sono state trovate le mutazioni».

La conclusione della professoressa Ricci è dunque all'opposto rispetto a quanto sostenuto dal professor Crisanti: «In realtà, abbiamo visto che da metà dicembre la percentuale di questa variante era assolutamente crollata. Quindi il sospetto era corretto,ma le conclusioni non sono supportate da evidenza.

Noi comunque stiamo facendo ancora approfonfondimenti perché la questione è importante e vogliamo capire quali varianti possono rendere meno efficaci gli anticorpi naturali, monoclonali e vaccinali e quali varianti possono sfuggire ai test rapidi o molecolari».

C'era anche un altro versante di critica, rilanciato da Report, quello sulla classificazione ufficiale in eccesso dei positivi asintomatici, prassi che avrebbe favorito l'alleggerimento delle misure disposte a Roma (in particolare la permanenza in zona gialla)

Anche in questo caso l'accusa è stata respinta: la dirigente Russo ha sottolineato le difficoltà del tracciamento sistematico nelle fasi di forte crescita di casi positivi,

ma ha spoiegato che questa variabile non ha alterato la valutazione complessiva sulal determinazione delle fasce di rischio.

Si è manifestato il dubbio, in sostanza, che la Regione abbia segnalato al ministero e all'Iss fra gli asintomatici, in automatico, anche le persone che non era stato possibile rintracciare.

«La frequenza quotidiana era superiore a 3.000 casi, un giorno anche 5.200, ha comportato un super lavoro per il contact tracing.

La soglia fissata dal monitoraggio era pari al 60% del totale degli infetti, ma a un certo punto ci siamo resi conto che il valore effettivo stava scendendo.

Allora abbiamo fatto un incontro conle Ulss, dividendo gli individui non presi in carico e dando ad ognuna indicazioni molto pressanti, per cui le  persone dovevano essere contattate in modo da poter precisare se erano sintomatiche o asintomatiche».

Russo ha quindi dettagliato quanto fatto per affrontare il problema: «Sono stati introdotti dei correttivi: abbiamo monitorato le indagini che era possibile svolgere per unità di personale e di tempo, in modo da istituire un cru-scotto, cioè un sistema informatiz-zato che verifica l'andamento giornaliero.

Nelle settimane di massima incidenza, il numero di sintomatici superava gli asintomatici.

In questo modo siamo riusciti a contattare 1'80% e anche il 90% del totale.

Non è vero che gliasintomatici indicati in automatico abbiano determinato la zonagialla.

Intanto le posizioni non contattate, non venivano trasmesse a Roma.

Inoltre l'algoritmo del monitoraggio si basa anche su altri parametri, come l'incidenza, i casi autoctoni e stranieri, gli indicatori diresilienza e così via».

Insomma, è chiaro che in Veneto, peraltro una delle regioni che hanno tenuto meglio sotto controllo l'emergenza, esiste uno scenario ad alta tensioen sul fronte della gestione "tecnica" della pandemia.

Crisanti, frattanto, difende le sue posizioni e guarda avanti, criticando anche le scelte nazionali sulle riaperture di una settimana fa e prevedendo una imminente quarta ondata del virus in Italia: «A fine maggio arriveranno i nuovi contagi causati da riaperture, aperitivi, visite agli amici e ritorno a scuola», ha detto l'esperto in varie interviste in tv e sui giornali.

Giusto per completare il quadro delle diverse visioni scientifiche, al pessimismo del microbiologo ha replicato l’infettivologo genovese Matteo Bassetti, altro volto noto al grande pubblico: «Non so su cosa siano basate queste affermazioni, vedremo, Io non faccio previsioni ma non scommetterei su una quarta ondata prima dell’estate».

Bassetti ha ricordato che anche un anno fa con le riaperture c'erano esperti che lanciavano allarmi su un'ondata estiva («c'era chi prevedeva 150mila ricoverati in terapia intensiva entro giugno»), ma non è andata affatto così.

Da qui l'invito a chi sbaglia le previsioni, ad assumersene, poi, la responsabilità.

Piuttosto, ha ribadito il medico ligure, bisogna attrezzarsi per un periodo di convivenza con il virus e con un aggravarsi della situazione epidemica in autunno, ma va ricordato che ora disponiammo dell'arma del vaccino e di terapie più efficaci»

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