Referendum, caos Pd Cuperlo: Renzi inadatto

Lontano dai tempi in cui Silvio Berlusconi invocava il legittimo impedimento per sottrarsi alla giustizia, Matteo Renzi incalza i magistrati di Potenza spronandoli a "fare velocemente i processi" visto che in 4 inchieste aperte "a cadenza delle Olimpiadi, non si è mai arrivati a sentenza".

Maria Elena Boschi è ancora al ministero delle Riforme per essere ascoltata dai pm sull'emendamento su Tempa Rossa quando, nella direzione che segnerà un nuovo scontro con la minoranza, il premier chiede alla giustizia di fare alla svelta perchè "la priorità del governo è sbloccare opere pubbliche e private" e se "è reato sbloccare le opere, io sono quello che sta commettendo reato".

La strategia di Renzi per respingere l'assedio politico-mediatico intorno al governo dopo l'intercettazione che ha portato alle dimissioni del ministro Guidi è una sola: andare all'attacco su tutta la linea, come gli è consono, rivendicare come scelta del governo lo sblocco del giacimento lucano, "bloccata dai tempi del muro di Berlino", e respingere al mittente le accuse di servilismo verso le lobby e le multinazionali. "Io sono leader di un partito che non ha preso soldi dai petrolieri", è la premessa, unita alla richiesta di "mettere in galera chi ruba".

Ma il premier non si vergogna di difendere multinazionali, business privati e grandi opere pubbliche, né il ruolo del governo per attrarre investimenti. "Vogliamo cedere alla cultura per cui chi crea ricchezza è cattivo, brutto e va allontanato?", chiede alla sinistra, mostrando slides con le infrastrutture sbloccate. E, raddoppia, "vogliamo dire che sono una parte dell'economia del paese, che creano posti di lavoro e che quando vanno via c'è una crisi da risolvere?". Gli schiavi delle lobby, chiarisce il leader dem, "sono altri visto che noi abbiamo fatto la legge sui reati ambientali e siamo pronti a votare il conflitto di interessi".

Proprio perchéè il governo è uscito "dai tempi della politica de-berlusconizzata mentre la stampa no", al premier non va giù l'interpretazione mediatica di un suo attacco ai magistrati di Potenza.

"Non è accaduto non li ho sfidati, ho chiesto di andare a sentenza", chiarisce nella replica finale dopo che in realtà solo Michele Emiliano in direzione gli aveva detto che era stato un po' "imprudente" con i magistrati.

Roberto Speranza e Gianni Cuperlo preferiscono concentrare l'attacco al capo del Pd su altri fronti: il primo sull'assenza di una discussione interna su temi rilevanti come le trivelle o l'emendamento su Tempa Rossa; il secondo affonda sulla mancanza di "statura da leader anche se coltivi l'arroganza del capo".

Il pomo della discordia più immediato, il referendum sulle trivelle, vede Renzi e la maggioranza della direzione allineata sulla linea del non voto.

Cuperlo, però, ha parole durissime anche sulla qualità, sullo spessore politico di Matteo Renzi: l'esponente triestino esprime un giudizio tagliente sull'ex sindaco di Firenze: «Tu non ti stia mostrando all'altezza del ruolo che ricopri, non stai mostrando in questi passaggi delicati della vita del Paese e della sinistra la statura di un leader e a volte coltivi l'arroganza dei capi»».

«Tu non stai facendo il segretario e stai spingendo diversi ad andarsene via» magari «in cambio avrai applausi da destra, ma rischiamo di perdere pezzi della sinistra. Io sento il peso di stare in un partito che non ha molto delle ragioni che me lo hanno fatto scegliere e ora magari tu mi risponderai con un faticoso e meditato "ciao"», ha aggiunto Cuperlo sempre rivolgendosi a Renzi. Parole che lasciano presagire un forte sommovimento nel partito.

E per la prima volta, due ex segretari come Pier Luigi Bersani e Guglielmo Epifani votano contro la relazione insieme ad un'altra decina.

Critiche asprissime destinate ad allargare la frattura dentro il Pd in vista del congresso. Ma alle quali Renzi non sembra intenzionato a dare molto credito.

Concentrato invece nella partita del governo in Italia e in Europa e a rintuzzare il fronte delle opposizioni, unite nella mozione di sfiducia.

"È uno spasso - ironizza il premier - vedere la Santa Alleanza di chi non la pensa come noi, Berlusconi, Salvini e Di Maio che pensano a mozioni insieme, se le scrivono, le votano e perdono".

Ma stavolta la minoranza Pd è più combattiva e ribadisce con forza il no alla linea del partito di astensione al referendum sulle trivelle. Ma sul tavolo c'è anche il referendum di ottobre sulle riforme costituzionali volute da Renzi enon condivise da parte della minoranza dem che pure le ha votate: ora i non renziani vorrebbero la libertà di voto, per potersi esprimere contro.

Non andare a votare è "legittimo e sacrosanto", oltre che "corretto" a norma di Costituzione, afferma Renzi. Ma 13 esponenti della sinistra Dem in direzione votano per la prima volta contro la linea del segretario.

Tra loro, come detto, anche Gianni Cuperlo, Roberto Speranza e i due ex segretari Pier Luigi Bersani e Guglielmo Epifani. Mettono così a verbale un dissenso che va oltre la consultazione del 17 aprile. E Cuperlo affonda il colpo più duro: "Matteo, ti manca la statura del leader anche se coltivi l'arroganza del capo".

Ma il premier non si scompone: "È un giudizio politico che rispetto ma io ho l'ambizione di proporre una sinistra credibile, possibile e riformista". La richiesta di cambiare la linea sulle trivelle e dare indicazione di andare a votare al referendum, viene formalizzata da 24 esponenti della minoranza Pd con un ordine del giorno presentato nella riunione della direzione.

Ma Renzi tiene ferma la linea dell'astensione. Per chi andrà a votare, assicura, "non ci saranno scomuniche". Ma alla sinistra Dem chiede "l'onestà intellettuale" di ammettere che l'astensione è "legittima". Non andare a votare, ribadisce, serve a bocciare il quesito che il Pd ritiene sbagliato. E lo ritiene sbagliato - ricorda agli avversari interni - anche Romano Prodi: "La mia posizione è un po' meno dura della sua, lui ha parlato di suicidio del Paese".

Questa volta, però, le tre aree della sinistra Dem non mollano. E consumano uno strappo rispetto alla linea del partito, che potrebbe essere seguito da una differenziazione ben più dolorosa sul referendum costituzionale e che comunque marca un dissenso interno che guarda, nel lungo periodo, al prossimo congresso.

L'accusa di fondo è di metodo: non ci sono spazi di discussione e condivisione delle decisioni nel partito. È stato sbagliato, attaccano Speranza e Cuperlo, inserire nella manovra l'emendamento su Tempa Rossa finito tra le carte dell'inchiesta di Potenza.

"Avrei voluto discuterne", dice Speranza. Più in generale, dice Cuperlo a viso aperto al segretario ("in faccia, come piace a te"), Renzi non si sta rivelando "all'altezza" del suo ruolo. Renzi decide di non replicare a muso duro e ricorda la frequenza con cui si riunisce la direzione del partito, "luogo di discussione in cui sempre si è permesso a tutti di parlarsi con libertà e franchezza: non siamo un'enclave chiusa e sorda che decide per i fatti propri". E ancora, ricorda il segretario: "Il Pd è punto di riferimento di milioni di italiani che non ne possono più delle nostre discussioni interne. Essere di sinistra è creare lavoro", aggiunge difendendo le politiche del governo.

Michele Emiliano tiene ferma la linea del sì al referendum: "Gli argomenti di Renzi sono uguali a quelli dei petrolieri".

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