Ue: l'Ilva provoca costi sanitari e ambientali miliardari

«Per garantire la produzione dell’Ilva di Taranto, la comunità ha dovuto sopportare costi esterni in termini di danno alla salute che, secondo gli esperti che hanno redatto il rapporto Air quality in Europe 2014, oscillano fra i 20mila e i 50mila euro all’anno per ogni posto di lavoro in Ilva».

Lo dichiarano Alessandro Marescotti, Antonia Battaglia e Luciano Manna di Peacelink Taranto commentando le stime dell’Agenzia europea per l’Ambiente, che ha calcolato i costi economici, sanitari e sociali dell’inquinamento. Secondo lo studio l’Ilva di Taranto è risultata nella top 30 degli impianti Ue più inquinanti con un danno medio di 2,5 miliardi di euro provocato per le emissioni nel periodo di 4 anni (2008-2012).

«Ilva - fanno rilevare gli ambientalisti - risulta al 29° posto nella graduatoria europea per i costi esterni ("costi aggregati del danno" prodotti dall’inquinamento) calcolati con la metodologia Cafe (Clean Air for Europe) per quantificare il danno alla salute in termini monetari, considerando sia il Valore della Vita Statistica sia il Valore di un anno di vita».

Sulla base di questa metodologia, «i costi aggregati del danno nel periodo 2008-2012 - concludono gli esponenti di Peacelink - sono espressi in milioni euro e per l’Ilva i danni vanno da un minimo di 1416 milioni di euro a un massimo di 3617 milioni di euro nel quinquennio considerato. I costi sanitari sono impressionanti».

L'associazione, rivolgendosi al nuovo commissario per gli interventi urgenti di bonifica di Taranto, Vera Corbelli, sottolinea che prima di avviare le bonifiche vanno individuati e perseguiti gli inquinatori: in proposito spiega di aver consegnato tutta la documentazione alla Procura della Repubblica. «In sostanza - aggiunge il presiodente Alessandro Marescotti - il rischio è che si avviino lavori di rimozione del terreno per la bonifica dei Tamburi modificando lo stato dei luoghi e impedendo l’accertamento delle responsabilità degli inquinatori. Ricordiamo che le risorse che si stanno utilizzando per i lavori sono pubbliche e che quindi non stiamo applicando il principio "chi inquina paga". Aggiungiamo che ciò, oltre ad essere una violazione di una norma, è anche una scelta assurda in un periodo in cui le risorse pubbliche sono ancora più scarse del solito. Le bonifiche vanno fatte a carico di chi ha inquinato, non del contribuente».

Peacelink si rivolge anche al presidente della Provincia di Taranto Martino Tamburrano ricordando che «a lui spetta il compito di diffidare con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione, così come prevede la legge. Se questo non viene fatto - conclude - l’Italia incorrerà nelle conseguenze della procedura europea di infrazione».

Peacelink Taranto ha inviato una lettera anche alla commissione europea per evidenziare un'altra difficile situazione ambientale: quella che vive il territorio di Brindisi, sede di grandi impianti industriali «i cui effetti sulla popolazione - spiega l’associazione ambientalista - sono critici e potenzialmente molto pericolosi». Nella missiva, Marescotti,  Battaglia e Ornella Tarullo di Peacelink, Marco Alvisi di Salute pubblica e l’oncologo nel Servizio pubblico nazionale Maurizio Portaluri, fanno presente che «Brindisi è una bomba. Si può trovare nel suo ambiente ogni tipo di gente inquinante e l’impatto sulla popolazione è estremamente importante, come riportato nel Report BMC Pregnancy and Childbirth sulle malformazioni neonatali di bambini nati da madri che vivono a Brindisi».

Nella discarica brindisina di Micorosa, aggiungono, «sono stati trovati (ne ha dato informazione l’Espresso) importanti quantità di agenti inquinanti: cloruro di vinile in quantità di 7,7 milioni volte oltre il limite; 1,1 dicloretilene 198 milioni di volte superiori al limite; benzene 50.000 volte oltre il limite, diossina 40 volte oltre il limite». «Riteniamo - concludono gli ambientalisti - che la commissione Ue debba esaminare la situazione di Brindisi, alla luce della Direttiva Europea sulle Emissioni Industriali 2010/75/EU».

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