Il Pd è un partito spaccato. Lite Bindi-Serracchiani

Due «piazze» distanti oltre 200 chilometri, due anime lontanissime, nessun simbolo o bandiera del Pd a tentare una sintesi. Il partito-nazione di Matteo Renzi vive oggi la sua giornata più buia, scoprendosi quasi affetto da una «doppia personalità» che ha nei tavoli della Leopolda e nella piazza anti-governo della Cgil i suoi estremi. E a San Giovanni la minoranza Pd risponde presente, chiedendo a Renzi di «ascoltare la piazza» e non risparmiando dure critiche alla kermesse fiorentina. Lo strappo è ancora lontano ma lo scontro interno alla sinistra e allo stesso Pd, oggi, è visibile, prepotente, e ha la sua copertina nella lite in diretta tv tra Rosy Bindi e Debora Serracchiani Discutine sul blog di Paolo Micheletto

Due «piazze» distanti oltre 200 chilometri, due anime lontanissime, nessun simbolo o bandiera del Pd a tentare una sintesi. Il partito-nazione di Matteo Renzi vive oggi la sua giornata più buia, scoprendosi quasi affetto da una «doppia personalità» che ha nei tavoli della Leopolda e nella piazza anti-governo della Cgil i suoi estremi. E a San Giovanni la minoranza Pd risponde presente, chiedendo a Renzi di «ascoltare la piazza» e non risparmiando dure critiche alla kermesse fiorentina. Lo strappo è ancora lontano ma lo scontro interno alla sinistra e allo stesso Pd, oggi, è visibile, prepotente, e ha la sua copertina nella lite in diretta tv tra Rosy Bindi e Debora Serracchiani. Il tanto atteso 25 ottobre, alla fine, non ha deluso nessuno. Non certo il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, che dal palco scimmiotta il premier con un «Matteo stai sereno», avverte che «la legge di stabilità non cambia verso» e conclude il suo intervento ballando «Bella ciao» insieme al «milione» annunciato dall'organizzazione.

 

Ascoltano, a pochi metri dal palco, le anime della minoranza. Ci sono i bersaniani Alfredo D'Attorre, Guglielmo Epifani, Cesare Damiano, Stefano Fassina, partiti da Piazza della Repubblica dietro lo striscione dei poligrafici de L'Unità e arrivati a Piazza San Giovanni in cortei laterali, per non inciampare nelle contestazioni - che non ci sono state - di tutti quelli che non volevano in piazza chi «vota la fiducia al Jobs Act». C'è Gianni Cuperlo, che con toni concilianti si augura che quella di oggi sia la piazza della «ricomposizione" e non della spaccatura. C'e Pippo Civati, sorridente e provocatorio, che paragona Renzi a Berlusconi e invita la minoranza a ritrovarsi sui dossier parlamentari per mettere alle strette il premier-segretario. «La sinistra è qui, il Pd senza questa piazza non è il Pd», è il mantra che ripetono dalla minoranza Dem. Ma sul futuro del Jobs Act e del partito stesso, resta la prudenza. «Voglio correggere il testo del Senato», assicura il presidente della commissione Lavoro Damiano, ma sulla scelta da fare su un eventuale voto di fiducia alla Camera, nessuno si sbilancia.

 

Più netti i toni sulla Leopolda. E le parole del neo-iscritto al Pd Davide Serra sui limiti al diritto di sciopero accentuano gli attacchi. È Bindi ad indossare le vesti della pasdaran. La Leopolda è «un raduno imbarazzante», sentenzia la deputata che, in tv, prima attacca - «sulle scelte di governo quelle persone lì, che stanno finanziando quella manifestazione, non influiranno?» - poi, definisce la kermesse fiorentina una manifestazione del «post-Pd" incassando la piccata replica, in diretta, di Serracchiani: «il Pd è diventato qualcosa di diverso da quello a cui tu sei abituata». Sullo stesso binario la risposta di Renzi. «Il Pd ha preso il 40% e lo ha fatto perchè le persone che andavano in tv a far polemica sono state messe ai lati", spiega il premier non nascondendo le «due anime» del partito e dimostrando che il grido di piazza San Giovanni ha solo sfiorato la stazione Leopolda: «la ascolteremo ma non è pensabile che blocchi il Paese». Ma l'impressione è che la piazza «rossa della Cgil, sebbene non sia ancora il preludio della "coalizione a difesa dei lavoratori" auspicata da Nichi Vendola, non resti un grido solitario. «C'è più attenzione sulle nostre battaglie», avverte Cuperlo mentre nel backstage un Maurizio Landini circondato da militanti promette battaglia. E alla fine, Camusso e Fassina, meditano sul successo della piazza. «Ora possiamo respirare meglio», sussurra il segretario della Cgil. L'impressione è che la minoranza Pd, in attesa di scelte cruciali e irreparabili, oggi si accontenti di questo.

 

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