Giampaolo Corona in partenza per l'Himalaya per scalare l'inviolato Kimshung

di Manuela Crepaz

«Stiamo bene. Fermi all'aeroporto di Mascate in Oman in attesa di ulteriori informazioni». Il post di Giampaolo Corona sul suo profilo Facebook ha rassicurato i tanti che oggi, alla notizia del terremoto di magnitudo 7.8 avvenuto in Nepal, hanno pensato a lui ed al suo compagno di viaggio, il valdostano Francois Cazzanelli, partiti venerdì per la spedizione sulla cima del Kimshung. Erano diretti a Kathmandu, ma quando è accaduto il sisma (alle 8.11 ora italiana del 25 aprile) fortunatamente non erano ancora arrivati. Ai campi base dell'Everest colpiti dalla slavine provocate dal terremoto, invece, c'erano altri alpinisti trentini.


Il programma della spedizione

La nuova spedizione himalayana dell'alpinista di Mezzano era partita come detto venerdì. Guida alpina del gruppo Aquile di San Martino di Castrozza e Primiero, tecnico di elisoccorso presso il Cnsas trentino e istruttore di soccorso alpino della Guardia di Finanza al Passo Rolle non è nuovo a queste imprese, con i suoi sei «ottomila» conquistati senza l’ausilio di ossigeno e portatori, e con quattro cime inviolate  ha aperto una serie di nuove vie tra il Nepal e il Pakistan ed è ormai un alpinista di fama internazionale che ama allenarsi tra il Monte Bianco e le Pale di San Martino.

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Questa volta, la meta individuata su cui nessuno finora ha messo piede, è la cima del Kimshung, quota 6781 metri, con ascesa lungo il versante sud-ovest, situata nel massiccio del Langtang in Nepal, a nord di Katmandu. La durata prevista della spedizione è di quarantacinque giorni. I due scalatori tenteranno di raggiungere la vetta del Kimshung in puro stile alpino, seguendo una via attraverso una serie di «goulotte» (canalini strettissimi di ghiaccio incassato tra pareti rocciose) e canali di neve sulla parete sud-ovest. Almeno questo era nei programmi, che ora sono sospesi per via dell'accaduto.

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Per l’acclimatazione, i due alpinisti pensavano di approfittare dei numerosi colli e delle vette vicini al campo base che dovrebbero permettere di raggiungere agevolmente i 6000 metri, aiutando così la fase di adattamento alla quota elevata. La decisione di provare la scalata in Nepal con un team piccolo è stata una scelta difficile ma ponderata, come spiega lo stesso Corona: «Confrontarsi con un sistema più contemporaneo e leggero, ci sembra la maniera più onesta per affrontare questa ennesima sfida himalayana».

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