Gli oggetti dei migranti

Da fervente studioso di antropologia e archeologia della contemporaneità qual è, Luca Pisoni (foto) accompagna in un viaggio metaforico alla ricerca degli oggetti che i migranti d’oggi sono soliti portarsi appresso ricalcando le orme di moderni Ulisse. Di quali oggetti non disfarsi dovendo abbandonare la propria patria per lidi più promettenti? E’ uno degli interrogativi affrontati dal quarantacinquenne laureato in Conservazione dei Beni culturali, incappando in storie di naufragi nel Mediterraneo centrale e di incessanti approdi sulle coste siciliane. Un processo epocale e per nulla immediato da inquadrare con semplificazioni, quello delle migrazioni forzate. Una serie di interviste raccolte dallo studioso calavino e presentate agli abitanti della Valle dei Laghi: un campione rappresentativo di cinquanta profughi di nazionalità etiope ed eritrea, di fede cristiana copto ortodossa ed età media di 25 anni, in transito tra il capoluogo altoatesino e la frontiera del Brennero perché attirati dal sogno di una nuova vita in Germania o in Scandinavia. Uomini approcciati con qualche difficoltà, per via delle barriere linguistiche, sulle banchine della stazione ferroviaria di Bolzano prima che a Trento nei locali della Residenza Fersina.

“Cosa ti porti in Europa?” è il titolo assegnato ad una ricerca condotta sul campo da Pisoni per conto dell’Università di Bolzano. “Da archeologo ho pensato più volte a quali oggetti avrei preso con me se anch’io avessi dovuto mettermi in viaggio come loro”, premette l’autore lasciando intuire il senso del suo lavoro di analisi e interpretazione multiculturale. Risultati frutto dell’usanza dei diretti protagonisti: oggetti personali riconducibili alla fede e agli affetti più cari come, in svariate fogge e materiali, medaglioni, anelli, braccialetti, bibbie tascabili, amuleti e ancora, sicuramente più appariscenti, smartphone, trucchi e addirittura canotte sportive dei propri beniamini.  Rimane loro una sobria croce, sulle spalle come al collo. In Eritrea è usuale indossarla nella speranza di assicurarsi l’intervento salvifico della Provvidenza. Del resto, la funzione assolta dagli effetti personali resta quella della consolazione, con amuleti che possiamo immaginare custoditi nella pieghe di un vestito. Sono leggibili nomi, cognomi e vissuti da raccontare, appunto, con quel poco che durarne i viaggi della speranza rimane da stringere tra le mani.

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