Addio a Mario Martinelli lo scrittore montanaro

di Chiara Zomer

Ha chiuso gli occhi ieri mattina a casa sua, tra le sue montagne. Se n’è andato mentre la vetta del Corno faceva da ideale protezione, dopo essere stata tante volte motivo d’ispirazione. Mario Martinelli, lo scrittore montanaro, se n’è andato a 57 anni sereno, sotto lo sguardo della sua Fiorenza e nell’abbraccio dei tanti amici che l’hanno accompagnato in queste settimane. Le ultime: lui lo sapeva, loro lo sapevano. E non hanno sprecato il tempo.

Il jobrero che ha dato voce e pensieri al signor Broz, e che in 16 romanzi ha fatto vivere la Vallarsa, non c’è più. Restano i libri, in cui ha raccontato una montagna fatta di tradizione e fatica, ma anche di tramonti e aria fresca. Restano le battaglie ambientaliste. Restano le iniziative, su tutte il festival «Tra le rocce e il cielo», di cui era l’anima oltre che l’ideatore. E resta il ricordo di un sorriso largo, come larghe erano le tese del suo inseparabile cappello.

Difficile crederlo per chi l’ha conosciuto negli ultimi 20 anni, ma c’è stato un Mario Martinelli anche prima di Obra. L’adolescenza a Rovereto, gli studi in città, una vita che lui spesso raccontava, divisa tra viaggi, esperienze, talvolta eccessi. E il lavoro: nel commercio prima, operaio poi. Fino a 35 anni, questo era il suo orizzonte.

Poi è arrivata la malattia, che ha messo nel mirino il fegato. Era il 1998. E lui, davanti ad una diagnosi che sembrava infausta, decise che serviva una svolta. Per questo si ritirò in Vallarsa, a Obra. Lì c’era la casa dei nonni; lì, raccontava lui, «è cominciato tutto», perché d’estate su quei prati era cresciuto, in quella cultura montanina che riabbracciò nel momento in cui ebbe bisogno di una cura per salvarsi l’esistenza. Lassù, tra le sue capre, camminando e meditando, trovò la cura per lo spirito. Per il resto, in realtà, ci pensarono i chirurghi di Innsbruck, che gli regalarono un fegato nuovo e una nuova vita.

Lui decise di viversela a contatto con la montagna. Da Obra non si allontanò più, se non per poche ore o brevi periodi. Prima percorse la Vallarsa a piedi, a partire dalle sue cime. Poi la difese, quando lo ritenne giusto. Memorabile la battaglia contro la strada di Obra: trascinò fin lassù gli allora assessori provinciali Grisenti e Muraro, bloccò lavori che erano già stati appaltati. Perché lassù altro asfalto non serviva.

Infine, quando la malattia si fece risentire e la salita alle sue vette si fece più faticosa, iniziò a raccontarla. Nacque il Mario Martinelli scrittore. Era il 2005 quando in libreria approdarono «Finalmente l’inverno», «Verde contrafforte» e «Il signor Broz». Era l’inizio.

Da lì Martinelli - spesso paragonato a Mauro Corona, con cui ebbe molti scambi e confronti artistici - cominciò a raccontare la montagna, ma non quella blasonata del turismo di massa e nemmeno quelal degli alpinisti, sfida a se stessi e sentiero verso il cielo.. Lui - ripeteva spesso - arrivava «fin dove arrivano le capre». La sua montagna era quella della cultura montanina, della gente che strappava al vento e alla neve quel che serve per vivere e poco altro. La sua montagna era vissuta e popolata da personaggi che finivano nei suoi romanzi: non una montagna come totem intoccabile, ma un luogo dove fare una vita più spartana ma più autentica, in cui l’uomo rispetta l’ambiente perché è in armonia con esso che vive. Una convinzione mai venuta meno. Nemmeno quando, solo pochi mesi fa, il lupo uccise le sue due caprette, compresa Vida, quella dei suoi romanzi. Ne soffrì molto. Ma non ebbe dubbi: «Non è colpa del lupo se la gente ha lasciato la montagna e il bosco si è preso tutto lo spazio. Non ha senso parlare di abbattimenti. Cerchiamo di ripopolare la montagna, conteniamo il bosco».

Uomo e montagna come parte di un’unica equazione, insomma. Un concetto che ha cercato di veicolare anche attraverso il festival «Tra le rocce e il cielo», ideato e organizzato con la compagna Fiorenza Aste, che per 7 edizioni ha portato in Vallarsa scrittori, ma anche politici ed economisti, a parlare di montagna, di tutela e di sviluppo.

Mario Martinelli è stato tutto questo, in un’esistenza scandita, negli ultimi 20 anni, con la sfida alla malattia. Solo nel 2013 aveva subito il secondo trapianto di fegato. Era stato meglio. Poi il peggioramento di questi ultimi mesi. «Sapeva cosa stava accadendo - osservava ieri Fiorenza Aste, compagna e inseparabile faro - da alcuni mesi ci stavamo avvicinando, con piena coscienza anche da parte sua. Lui è un ricercatore, ha sempre meditato e cercato il senso dell’esistenza, lo ha fatto anche in questi mesi. Un percorso in cui è stato circondato dall’affetto di moltissimi amici, che in modo meraviglioso non l’hanno mai lasciato solo. Anche negli ultimi giorni».

Il jobrero non c’è più. Martedì alle 16 ad Obra i funerali.

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