Una grande festa multicolore solidale e contro il razzismo

di Laura Galassi

Gli scout marocchini di Rovereto che si presentano a quelli moriani, le donne ucraine che spiegano le loro ricette ai ristoratori indiani, i bambini albanesi che sfidano a calcio i nigeriani, i tamburi africani che dettano il ritmo al coro parrocchiale. La Giornata del migrante e del rifugiato, ospitata ieri pomeriggio a Mori, ha favorito tanti incontri, tanti sorrisi e tante strette di mano con la promessa di rivedersi più avanti.
Un centinaio di persone si sono date appuntamento alle 14 in piazza Cal di Ponte. C'erano bandiere di tutti i Paesi, persone con la pelle di colore diverso con addosso gli abiti folkloristici, ma anche i richiedenti asilo del centro di accoglienza di Marco. In questo momento loro rappresentano la più grande sfida di integrazione in Vallagarina: da mesi vivono all'ex polveriera in attesa del permesso di soggiorno, ma sono isolati e la festa di ieri è stata un'occasione preziosa per combattere l'emarginazione.
«È un dovere del sindaco incontrare i nuovi abitanti del suo paese - ha detto nel discorso inaugurale il primo cittadino Roberto Caliari -. Solo attraverso la conoscenza e la frequentazione si può realizzare la convivenza, anche ricordando i nostri nonni emigrati». «Il migrante di oggi deve specchiarsi nelle storie dei trentini che qualche decina di anni fa hanno lasciato le loro case. Dobbiamo ricordare l'umiliazione che i nostri avi hanno patito e risparmiarla alle persone che sbarcano sulle nostre coste», ha ribadito Alberto Tafner, presidente di Trentini nel mondo. Un saluto convinto è arrivato anche dall'assessore della Comunità di valle Marcello Benedetti.
Anche perché, come è stato più volte sottolineato nel corso della giornata, la porta dell'emigrazione per gli italiani è tutt'altro che chiusa. È vero che non si viaggia più con la valigia di cartone legata con lo spago - uno dei simboli che ieri, assieme a un salvagente in ricordo delle vittime delle traversate in mare, è stato portato sull'altare della chiesa durante l'offertorio -, ma è altrettanto vero che con la crisi molti italiani hanno preferito lasciare lo Stivale.
Dopo aver ascoltato in cerchio le percussioni di Mamadou Sow, il corteo colorato si è avviato alla volta della chiesa di Santo Stefano. Non c'era nessun obbligo di partecipare al rito cattolico, ma tanti musulmani, rispettando in pieno lo spirito dell'evento, sono entrati nel luogo sacro e hanno assistito alla cerimonia. «Per essere cristiani bisogna riballarsi a chi attua politiche xenofobe», ha detto dall'altare il decano don Tarcisio Guarnieri, coadiuvato dal vicario generale monsignor Lauro Tisi, da don Beppino Caldera e da tanti missionari accorsi da tutte le parti del mondo.
È stata una messa particolare, con preghiere in swahili e in ucraino, letture in portoghese e il canto della pace ebraico «Evenu Shalom». «È questo lo spirito dell'integrazione. La Chiesa accompagna con pazienza il cammino dei popoli», ha detto nella sua omelia don Tarcisio.
Terminata la messa, tutti si sono spostati all'oratorio, dove già da qualche ora i bambini avevano avviato agguerrite sfide a calcetto, mentre le donne erano arrivate con vassoi di prelibatezze per allestire un buffet etnico da acquolina in bocca. Insalata russa, cous cous, vareniki ucraini (una sorta di ravioli), chicken and chili indiano e come dessert lo strudel trentino: un viaggio saporito nelle cucine del mondo.
«Per noi è la prima volta alla Giornata del migrante ? raccontano gli scout marocchini ?. La nostra associazione è stata costituita l'anno scorso in Brione, a Rovereto, e da allora abbiamo cominciato a stringere amicizie». Le sale dell'oratorio sono state allestite con tanti mappamondi e ovunque spuntavano bandiere della pace. «Non importa se siamo musulmani, questa festa è anche per noi e ci è piaciuto osservare la messa e conoscere altre persone», hanno raccontato Omar Farouk, originario del Bangladesh, e Sulemany Ali, pakistano, entrambi ospiti al centro di accoglienza di Marco.

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