Spini, la protesta dei residenti «Stop all'assedio dei camion»

«Ci impegneremo sulla questione del frantoio: fisserò un appuntamento con l’assessore all’urbanistica e ambiente Mario Tonina», spiegava l’altra sera il consigliere provinciale Devid Moranduzzo al direttivo dell’associazione degli Amizi del Pont dei Vodi di Spini. Sul tavolo in una riunione a porte chiuse con il gruppo di volontari, c’era il tema del «frantoio» o meglio delle diverse attività di produzione di calcestruzzo e lavorazione inerti presenti nell’estremo nord della frazione, a cavallo dell’argine dell’Avisio.

Una presenza problematica, fonte di polveri e rumore, su cui si dibatte da anni senza una soluzione. In passato persino alcune proroghe concesse dalla Giunta Provinciale vennero disattese. Ipotesi di spostamento avanzate qualche anno fa non hanno trovato seguito. Alla serata era presente anche Antonella Mosna, presidente della Circoscrizione, che ha proposto a Moranduzzo di coinvolgere anche gli assessori Bungaro (politiche ambientali) e Salizzoni (urbanistica) del Comune. «Non ne possiamo più dei quei camion fuori dalla porta di casa», tuona un residente. Via al Pont dei Vodi è sotto pressione. Ogni giorno centinaia di veicoli pesanti: ai mezzi d’opera e alle betoniere si aggiungono i furgonati di aziende di logistica e di consegna di merci deperibili. Un polveroso via vai a velocità talvolta folli, che solleva nuvole di polvere, in una zona già di per sé estremamente ventosa: a questo si aggiungerebbe una certa prepotenza degli autisti, fra minacce e qualche danno, con la carreggiata che si è nel frattempo allargata a colpi di ruotate a scapito dei campi.

Ci sono poi il fango e le pietre perse per strada, le vibrazioni, i cumuli di immondizia creati a pochi metri, se non dentro, l’area del biotopo. L’associazione Amizi del Pont dei Vodi è da anni in prima fila per cercare una soluzione, chiedendo l’allontanamento delle attività in luoghi più idonei. «Altrove è stato fatto, non esiste a Trento, ma forse nemmeno in tutto il Trentino, un’attività di questo tipo confinante con un centro abitato. A Lavis le lavorazioni di inerti sulla sponda opposta dell’Avisio sono state spostate, in quel caso non c’erano nemmeno case. Noi non vogliamo la chiusura o la perdita di posti di lavoro, solo che l’attività vada in una posizione più consona, in uno dei tanti capannoni in zona industriale oppure in ex cave», riassume Bruna Pasolli, presidente del comitato. Tanto più che ormai, per i vincoli ambientali esistenti, l’attività è slegata dall’alveo dell’Avisio. Non si estraggono più inerti sul posto come avveniva in passato, tutto viene portato da fuori, lavorato e poi ricaricato sui mezzi.

«A Cirè o a Penia, in Val di Fassa, centri di lavorazione simile sono ben lontani dai paesi. Qui mancano la pulizia delle strade e un marciapiede», spiega un residente arrabbiato per i troppi anni passati senza poter aprire le finestre. «Siamo circondati da fonti inquinanti - attacca ancora Bruna Pasolli - a sud la Vetri Speciali, a ovest l’autostrada, a est le code per l’incrocio congestionato con la statale, a nord questo frantoio. Spini è assediata». Sulla questione Devid Moranduzzo resta abbottonato, ma prova a proporre: «non posso promettere soluzioni a breve, ma interesserò l’assessore, dopodiché vi faremo sapere».

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