«Dachau e la morte sempre addosso»

Una testimonianza forte per mettere davanti agli occhi della gente quanto sia stato l'orrore nei campi di concentramento nazisti e di come il cuore di un uomo possa diventare pietra. «A Dachau ti svegliavi alla mattina con la morte sulla spalla e te la portavi dietro tutto il giorno perché ogni momento poteva essere l'ultimo».

Enrico Vanzini, 93 anni, è l'ultimo italiano vivente dei Sonderkommando. A Dachau era il numero 123343 e trascorse nel campo di concentramento sette mesi di vero inferno. Le SS, infatti, lo costrinsero a svolgere il compito all'interno del Sonderkommando, ovvero le unità speciali di internati costretti a cremare i cadaveri nei forni.

Enrico Vanzini ieri era a Trento per incontrare gli studenti. La mattina al liceo Galileo Galilei e nel pomeriggio al liceo Da Vinci. Un incontro chiesto dagli studenti e promosso dall'Anpi del Trentino anche in vista del prossimo 25 aprile. La testimonianza di Vanzini, medaglia d'oro, è tra le più importanti nel nostro Paese e solo nel 2005 decise di raccontarla. Quando riesce a tornare a casa sano e salvo, infatti, per sessanta lunghi anni non dice nulla, neppure alla famiglia. Solo 11 anni fa decide di condividere quel dramma ed è così che la sua esperienza diventa prima un documentario, poi un libro.

Tutto inizia nella sua gioventù che viene interrotta dalla campagna di Grecia. A diciotto anni parte per Atene, dove per la prima volta vede all'opera i militari nazisti. Quando all'indomani dell'8 settembre l'Italia rompe l'alleanza con Hitler, sono proprio quei temibili soldati a caricarlo su un treno insieme ai suoi commilitoni. I vagoni sono stipati, poco o nulla da mangiare e bere, un viaggio di tre settimane. Dopo i lavori forzati a Ingolstadt e una condanna a morte scampata a Buchenwald, nell'ottobre del ?44 Enrico viene rinchiuso a Dachau.

«Quando mi hanno portato a casa gli americani - ha raccontato Vanzini - dovevo andare d'urgenza all'ospedale militare di Varese. Avevo 25 chilometri da fare dal paese dove abitavo. Ho chiesto alle istituzioni e alle associazioni che mi dessero una mano ma nessuno mi aiutò e fui trattato malissimo. Poi mi sono chiuso in me stesso e non ho più voluto parlare della mia esperienza fino ad una decina di anni fa».

L'esperienza del SonderKommando è una delle più terribili. I compiti da svolgere erano: rimuovere i corpi dalle camere a gas dopo l'avvenuta gassazione, estrarre eventuali denti d'oro dai cadaveri, radere i capelli delle donne uccise, ripulire le camere a gas e prepararle nel minor tempo possibile per un nuovo gruppo di deportati e soprattutto trasportare i corpi verso i crematori. «Quando arrivai al campo di Dachau - ha raccontato Enrico - pensai subito che non sarei più riuscito ad uscirne. All'arrivo mi strapparono la divisa italiana e fui poi assegnato al compito di SonderKommando. Fu terribile mettere nei forni persone che magari si erano conosciute poco prima».
Enrico Vanzini ha voluto spiegare agli studenti l'orrore e le tante sofferenze vissute in prima persona, ma anche lasciare un messaggio forte e chiaro ai giovani che l'hanno ascoltato. «Voi siete la nuova Italia. Io ho vissuto tantissime sofferenze e non voglio che le subiate anche voi visto l'epoca in cui viviamo. Dovete studiare perché da questo vi arriverà la certezza per il domani. Ma state sempre in allerta. Non pensate mai alla guerra perché porta solo sofferenze e morte».

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