Sgarbi al Mart: «Lavoro gratis per l'amore del Trentino»

di Matthias Pfaender

«Ho appena sentito Fugatti. Dice che hanno fatto tutte le verifiche del caso, e che questa presunta incompatibilità tra i ruoli di parlamentare e di presidente del Mart non c’è. Basta che la carica sia senza stipendio. Ottimo, dato che non ho bisogno di denaro, sarei felice di lavorare gratis: non dipenderei da nessuno e sarei del tutto libero nel dare i nuovi indirizzi del Mart».

Onorevole Sgarbi, i giochi sono fatti: lei sarà il prossimo presidente del Mart.

«Finché non c’è la nomina ufficiale, parlerò al condizionale. Comunque questa legge sull’incompatibilità è fatta coi piedi. Un parlamentare non può essere presidente di istituzioni culturali o fondazioni? Ma scherziamo? Nei mesi scorsi, quando è stata sollevata la questione, ho chiarito a Fugatti che, considerata la mia passione per il Trentino e per il Mart, avrei fatto volentieri anche il “direttore scientifico” del museo, una nuova figura da istituire ad hoc. Non mi interessa nulla del blasone della carica, mi basterebbe dare le mie suggestioni di indirizzo al museo».

Possiamo considerare il problema superato. Dunque lei sarà presidente, ma non riceverà compenso. Perché allora accetterà l’incarico?

«Presiedere un museo significa creare una pagina di civiltà. È come scrivere un vero libro: non lo fai per soldi, ma perché lo devi fare. Per soddisfazione spirituale. Alcuni lavori sono superiori al loro stipendio».

Finora la presidenza del Mart è stata prettamente istituzionale: composizione dei bilanci, inaugurazioni delle mostre. Punto. Col suo arrivo ci si aspetta un cambio radicale.

«Sarei presente fisicamente e spiritualmente. In collaborazione con il direttore Maraniello, darei il via a una serie di mostre per rilanciare il ruolo del Mart in Italia e nel mondo. Ho già in mente tre iniziative».

Ci anticipi qualcosa.

«No, come potrei. Anzi, una sì: sono stato nominato (il 28 gennaio scorso, ndr) presidente della Fondazione Canova Onlus di Possagno (Treviso, ndr), con il compito di guidare questo museo ricco di storia e arte che a partire da luglio raggiungerà il suo apice, con l’avvio dei quattro anni di celebrazioni canoviane (per il bicentenario della morte, ndr). Mi sembra logico pensare a una gemellaggio tra Mart e museo canoviano, portando nel 2022 al Mart la grande mostra sull’ultimo grande artista italiano: “Canova e il moderno”».

Prima ha citato il direttore Gianfranco Maraniello (contratto in scadenza nel giugno 2020).

«Lo conosco da tempo, e ne apprezzo molto il lavoro. Fin da quando era a Bologna. Nel 2013, quando il Comune voleva affidargli l’incarico di direttore della rete museale, ci fu la contestazione delle opposizioni, perché credevano che Maraniello fosse coperto dal Pd. Allora i leghisti mi chiamarono come loro “esperto” nella commissione d’esame. Alla fine delle audizioni dei nove candidati dissi pubblicamente che Maraniello era di gran lunga la figura migliore. Ottenne l’incarico. E poi mi chiamò, nel 2015, quando fu nominato direttore del Mart. Anzi, penso di aver avuto un ruolo anche in questo».

Ci racconti.

«Sono stato io a far conoscere Maraniello ad Ugo Rossi. Fu durante un pranzo, al quale avevo invitato il vostro ex presidente, ai tempi della mostra “Da Cimabue a Morandi”, che avevo curato a Palazzo Fava, a Bologna. C’era anche Maraniello, e feci le presentazioni. Due anni dopo Maraniello era al Mart».

Nella sua ultima visita al Mart, lo scorso gennaio, lei ha lanciato la battuta «È bene che il Mart avanzi». Era un riferimento a Beatrice Avanzi (veronese, per 10 anni braccio destro di Gabriella Belli al Mart, oggi direttrice a Parigi di Culturespaces)?

Sono molto amico di Beatrice Avanzi, ed un posto le va trovato. E sono anche molto amico di Gabriella Belli, della quale seguivo il bel lavoro fin da quando dirigeva il Palazzo delle Albere. E sono amico fraterno di Cristiana Collu (direttrice del Mart dal 2012 al 2015, oggi direttrice generale della Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, ndr) fin da quando lavorava a Nuoro. E sono fraterno amico, anche, di Mario Botta, fin dai tempi del progetto di restauro del Teatro alla Scala a Milano (dove Sgarbi è stato assessore alla Cultura dal 2006 al 2008, ndr)».

Un sacco di amici che hanno lavorato in Trentino, più che amici trentini.

«Ma no, ho anche tanti amici in Trentino, una terra che frequento e ammiro da anni».

Come mai?

«Perché le cose qui funzionano. Destra o sinistra al potere, restate un territorio smart».

Dicono lei sia anche amico del presidente Maurizio Fugatti.

«Lo conosco, ma meno di altri, come per esempio Franco Panizza. Ma negli ultimi mesi i contatti sono stati intensi, e abbiamo iniziato a conoscerci meglio. Recentemente poi abbiamo vissuto insieme un bel momento. L’ultima volta che sono salito al Mart ero con lui. Prima però eravamo a pranzo in una trattoria a Belluno Veronese. Durante il pranzo Fugatti ha chiamato Erminio Boso. Con Boso avevamo quel trascorso del calcione che mi aveva rifilato alla Camera, nel 1995. Pensi che era stato anche fatto un calco in metallo dello scarpone di Boso, e alle fiere della Lega lo esponevano come “la scarpa che ha calciato Sgarbi”. Altri tempi. Due giorni dopo quella telefonata se ne è andato. Mi è dispiaciuto molto. L’unico necrologio sul Corriere (Corriere della Sera, edizione nazionale, ndr), l’ho fatto mettere io: “In altri tempi fummo contrapposti. Oggi lo rimpiango”».

Torniamo al Mart. Ci si aspetta da lei grandi cose. Grandi mostre di grande richiamo e indotto turistico. Ma le mostre costano. E finora il finanziamento privato non ha dato risultati di rilievo al Mart.

«Se me lo chiedessero, ho pronta una lista di persone che avrebbero la possibilità di finanziare il Mart».

Trentini?

«No, direi più fuori dal Trentino. Anche se qui conosco molto bene Gino Lunelli, del quale sono molto amico e che spero in futuro possa essere con il Mart più generoso di quanto non sia con se stesso: ha chiesto a me e Stefano Lorenzetto di scrivere il libro di Villa Margon. Questo però ormai 15 anni fa, e ancora oggi non se ne è fatto niente».

Finanziatori da «premiare» con un posto in cda?

«Non ci sono abbastanza posti direi (il prossimo cda scenderà a tre componenti, ndr). Ma possiamo pensare di istituire una “Consulta dei sostenitori”. Persone che dietro un contributo minimo, diciamo 100mila euro, abbiano un posto in un nuovo organo consultivo sull’attività del museo».

Il Mart è il museo di Rovereto, città con la quale ha un rapporto ambivalente. Da un lato elemento identitario, dall’altro ancora, dopo dieci anni e nonostante i passi in avanti fatti con Maraniello, elemento estraneo nel tessuto urbano, realtà distante dalla quotidianità dei roveretani.

«Non si sorprende, ma è una cosa cui penso spesso. E penso che Rovereto, la meno “autonoma” del Trentino, più influenzata dalla presenza del vicino Veneto, a metà tra Milano e Venezia, sia in posizione ideale per essere destinazione facile per un bacino di persone molto più ampio del solo Trentino. Il Mart deve diventare come l’Harry’s Bar di Venezia, il punto di riferimento urbano per chi da fuori si dà appuntamento in Trentino, che sia per una sciata, per una visita alla città o per la partecipazione ad una fiera sul Garda. Certo, ci vorrà un grande ristorante o un grande caffé di ritrovo».

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