Un ceffone dato all'amica costa davvero caro, 350 euro

di Nicola Guarnieri

Quanto costa uno schiaffo? La domanda può sembrare fuori luogo alla Vigilia di Natale, che è proverbialmente la festa in cui tutti ci si sente più buoni, ma è, ahimè, il quesito a cui, suo malgrado, è stata sottoposta la giudice di pace Paola Facchini. Che ha accolto - fissando metaforicamente la «tariffa» del ceffone - il risarcimento da 350 euro offerto dal manesco finito nei guai cancellando così il reato. Per la legge, in altre parole, quelle cinque dita stampate sul volto dell'«amica», non sono mai arrivate a destinazione.

Insomma, una sberla è cara anche se la donna che l'ha incassata non è dello stesso avviso. Perché in udienza, al Follone, ha provato ad opporsi alla condotta riparatoria dell'«amico» che, nel corso di una discussione dai toni accesi, ha pensato bene (anzi, male) di alzare le mani (anzi, una mano). Per lei, al di là dei tre giorni di prognosi formulati dai medici del pronto soccorso dell'ospedale Santa Maria del Carmine, la ferita morale era di gran lunga peggiore di quella fisica. Perché il gesto in sé è da condannare, qualsiasi titolo. E 350 euro, appunto, non sono somma degna per lenire il dolore.

Ma la giudice ha ritenuto congruo l'assegno presentato alla vittima della furia di un momento e si è pure convinta delle scuse espresse in aula dal mariuolo di turno. Alla fine, dunque, l'imputato è uscito con la fedina penale pulita, con una sentenza di «estinzione del reato per intervenuta condotta riparatoria, considerato l'intervenuto risarcimento del danno in udienza». Il ceffone rifilato al termine di un alterco, come detto, ha causato alla signora colpita un trauma emifacciale destro guaribile in tre giorni. E l'accusa di lesioni dolose è caduta proprio in virtù del pagamento del «disturbo» ma anche, come ha considerato la dottoressa Facchini, per «l'occasionalità del fatto contestato che fa ritenere esaurita la pericolosità della condotta tenuta».

Insomma, quell'azione assolutamente poco edificante (schiaffeggiare qualcuno durante una lite non va mai bene, men che meno nei confronti di una donna) è stata archiviata. Anche se è stato fissato un prezzo, che ognuno può giudicare congruo, eccessivo o, al contrario, offensivo perché troppo risicato. Tra i due contendenti, comunque, mai si era arrivati a tanto e questo episodio isolato ha giocato a favore dell'imputato. Certo, sbottare comunque con violenza è costato 350 euro, una sorta di «multa» per un uomo che, seppure in un'unica occasione, si è dimostrato manesco tanto da essere trascinato davanti al giudice di pace dalla sua antagonista. E probabilmente non per l'entità delle lesioni ma per questioni di principio. Perché, come detto, un conto è discutere anche animatamente e un altro rifugiarsi nella violenza (ancorché affidata ad una sberla) in mancanza di argomenti validi per sostenere un confronto verbale financo acceso.

L'estinzione del reato sentenziata dal giudice Paola Facchini, ovviamente, si basa sì sul risarcimento del danno pagato direttamente in aula ma anche sulle scuse che l'imputato ha posto, sempre davanti al magistrato onorario, alla signora colpita. Scuse non accettate e comunque care, almeno se riferite al portafoglio.

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