Lo psichiatra Andreoli: «I social ci stanno spegnendo la vita»

di Tommaso Gasperotti

Capigliatura disordinata, sopracciglia a cespuglio e una gestualità unica. Vittorino Andreoli , psichiatra e neurologo veronese di fama mondiale, membro della The New York Academy of Sciences e presidente onorario della Section Committee on Psychopathology of Expression, World Psychiatric Association, sarà il protagonista dell'incontro «Vivere con due cervelli: digitale e di carne», che si terrà questa sera alle 21 al Teatro Zandonai, all'interno del Festival degli Informatici Senza Frontiere. A condurre l'evento, Pierangelo Giovanetti, direttore dell'Adige. 

Professor Andreoli, partiamo dal titolo dell'incontro. Cosa s'intende per cervello digitale e per cervello di carne? «La tecnologia digitale è la prima protesi della mente. Se noi guardiamo alla storia della tecnologia, essa ci è sempre servita per migliorare le prestazioni fisiche. La ruota ci ha aiutato a trascinare pesi, il motore ad andare più veloci, l'aereo a volare. Oggi, nell'epoca della digitalizzazione, abbiamo il telefonino, uno strumento che entra nella mente: una protesi del nostro cervello di carne».
Una protesi positiva? «Il nostro cervello ha grandi capacità, ma anche limiti. Il computer, invece, è in grado di svolgere operazioni mentali a una velocità sorprendente. Basti pensare alla capacità di memorizzare: la memoria digitale è più precisa, più stabile, non è disturbata dalle emozioni e dai cambiamenti di umore. La tecnologia può essere utile certo, e non voglio demonizzarla, ma se invece di sforzarci a ricordare deleghiamo la nostra memoria numerica al cervello digitale, ecco che cominciano le difficoltà. Accade che non ricordiamo più un numero di telefono, il nostro codice Iban e nemmeno come si fanno le moltiplicazioni: tutte funzioni che pian piano stiamo dimenticando perché il cervello digitale le fa al nostro posto».
È questo il rischio più grosso che corriamo, quello che il cervello digitale sostituisca quello umano? «Sì, è bene che il cervello che abbiamo in tasca non rimpiazzi quello nella nostra testa. Prendiamo, al posto della memoria numerica, quella semantica. Per parlare con l'altro bisogna ricordarsi che un determinato suono è associato a quel significato; se lo dimentico o lo delego a un apparecchio tecnologico non riesco più a comunicare. Ci sono molti adolescenti che spendono più tempo a comunicare attraverso l'apparecchio tecnologico (oltre sei ore al giorno, ndr ) che tra cervelli. In questo modo, sostituendo cioè col cellulare le persone reali, si perde la capacità di parlare con l'altro».
Una comunità che sta smarrendo la propria capacità di comunicare? «È così. In media, nel nostro linguaggio quotidiano, usiamo dalle 100 alle 150 parole, quando la Treccani ne contiene 30mila. Non è più fantasia, stiamo veramente arrivando a questo. Tanto che parliamo già di persone che si sono chiuse in un autismo digitale, "in una torre senza finestre". In Val d'Aosta, l'anno scorso, ho aperto la prima clinica per curare le patologie di invasione del mondo tecnologico nell'attività cerebrale. Il cervello artificiale non ha dubbi, è yes or not. Se il cervello che abbiamo in tasca prende il sopravvento, tutto il mondo diventa quello con il dito in su o in giù. Com'è possibile ridurre le cose del mondo al «mi piace» o «non mi piace»?
Sta tirando in causa i social network? «Sì, i social non sono legami umani, stanno spegnendo la "human life". L'uomo ha bisogno di vedere l'altro, la mimica, i piccoli gesti, sentire gli odori, vivere un'attesa. Invece, nessuno parla più con nessuno. Se si chiude il telefonino c'è il vuoto. I social network stanno uccidendo la nostra personalità».
Una forma di follia? «Esatto. Anche la follia è una morte della personalità, chi non ha il rapporto di realtà, non ragiona».
Parlerà di come arginare questo fenomeno? «Sì, spiegherò che occorre assolutamente imparare a mettere dei limiti alle possibilità del mondo virtuale. Bisogna fare in modo che la tecnologia sia utile e non dannosa all'uomo e che accendere il telefonino non significhi per forza di cose spengere il cervello. Anche perché sarebbe un vero peccato: il cervello umano è un'immensa Rete e ha potenzialità superiori a quello che teniamo in tasca».
Alla luce degli studi fatti sul cervello, come possiamo definire oggi quest'organo? «Non mi stancherò mai di sottolineare la bellezza e la straordinarietà del cervello umano. Lo stiamo conoscendo adesso. Sarebbe veramente stupido rinunciare a lui».
L'altro ieri era la giornata mondiale della salute mentale. Come possiamo prenderci cura della nostra mente? «La mente dell'uomo ha bisogno di collegarsi con la mente dell'altro, trovare gratificazioni nel mondo reale. Un telefonino al massimo può produrre emozioni in risposta a degli stimoli, ma non dà né legami, né promuove sentimenti d'amore o solidarietà. La salute mentale dipende dalla capacità che ognuno di noi ha di relazionarsi con l'altro: è il rapporto con l'altro che ci fa stare bene. Bisogna passare dalla psicologia dell'io a quella del noi. Negli smartphone c'è il narcisismo».
Qual è il segreto per essere felici? «Io sono contro la felicità. La felicità è dell'io. Io sono per la ricerca della gioia, il "gaudium", che è qualcosa che riguarda il noi, l'insieme. È un concetto molto più continuo che solo attraverso l'altro possiamo dare e ricevere. È quello a cui dobbiamo ambire, soprattutto in questa società indebolita e sola, che tende ad isolare e in cui tutti abbiamo paura dell'altro.

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