Marangoni: gli operai chiedono un incontro

È una chiamata alla mobilitazione generale, quella dei lavoratori Marangoni. Ieri mattina le tute blu di via del Garda si sono riversate al cancello della storica fabbrica, prima di tutto, per accendere i riflettori sullo stabilimento roveretano. Da dove non arrivano notizie tragiche, questo no. Ma dove l’incertezza sulle scelte strategiche, unita alla contingenza difficile dell’azienda e ai recenti cambiamenti di management, fanno preoccupare lavoratori e sindacati. L’azione di ieri mattina, durante l’assemblea, serve nelle intenzioni a mettere in mora la proprietà da una parte - «È ora che ci mettano la faccia e spieghino cosa vogliono fare» - e la politica dall’altra. Perché c’è un protocollo disatteso. E perché, notavano ieri mattina i sindacati, «a questo punto nessuna forza politica, né di maggioranza né di oposizione, si può chiamare fuori». Per ora a non chiamarsi fuori sono solo i Cinque Stelle: ieri ai cancelli Marangoni quattro esponenti del movimento (candidati alle prossime provinciali), che amplificano la richiesta dei sindacati.
 
Il nocciolo del contendere è noto: dopo l’addio dell’ad Dino Maggioni, per contrasti sulle scelte strategiche del gruppo, i sindacati hanno chiesto lumi all’azienda. E si sono sentiti dire che si cercheranno partnership industriali. Ma i rappresentanti dei lavoratori - ieri ai cancelli Ivana Dal Forno (Cisl), Mario Cerutti (Cgil) e Giovanni La Spada (Cobas) - vogliono capire cosa significa partnership industriali, etichetta dietro alla quale può stare di tutto, compresi scenari inquietanti. «Noi non siamo in grado di dire in cosa si estrinsechi questa nuova strategia anziedale, perché a questo punto può dircelo solo la proprietà, e a quella chiediamo un confronto e dei chiarimenti - osservava ieri Ivana Dal Forno, Cisl - Anche perché restiamo preoccupati, per la situazione di difficoltà finanziaria dell’azienda. Da mesi non viene pagata la previdenza integrativa, l’azienda l’ha spiegato ai lavoratori, ha chiesto pazienza, ma in questo contesto serve chiarezza subito». 
 
Serve chiarezza e, osserva Mario Cerutti (Cgil), serve che anche la politica si mobiliti: «Quantomeno per via dei soldi pubblici garantiti a quest’azienda, credo sia opportuno che la politica si interessi di ciò che sta accadendo qui - osserva Cerutti - c’era un protocollo, che prevedeva un tavolo tecnico di valutazione dell’andamento aziendale. Si è riunito una sola volta su nostra richiesta. Credo sia ora di rispettare quel protocollo. Ricordando che ballano ancora 20 esuberi: l’ad Maggioni si era impegnato a non licenziare. Ma lui è andato via».
 
Sulla stessa linea i Cobas, che partendo dal lease back, mettono in mora la politica: «Vista la situazione politica, nessuno può chiamarsi fuori, maggioranza e opposizione, devono interessarsi di quel che accade qui - sbotta Giovanni La Spada- e devono interessarsi non per dare altri soldi. Questo meglio chiarirlo». E all’azienda: «Non serve aspettare la nomina di un altro amministratore delegato, la proprietà deve metterci la faccia e dire quali sono le prospettive occupazionali e le linee strategiche per questo stabilimento. Perché tace? O perche non sa cosa dire, o perché ha cose brutte da comunicare. Entrambe le ipotesi non ci piacicono».
 
Ad ascoltare parte dei 220 lavoratori, quelli rimasti nella storica fabbrica, dopo le recenti riorganizzazioni. Sanno che il contesto generale è faticoso - i temporanei dazi agli pneumatici cinesi hanno calmierato solo in parte i problemi - e quello aziendale pure di più. Sanno anche, però, che azioni di lotta sono più difficili che in passato: «I volumi produttivi sono in calo, scioperare significa far loro un favore. Se ci negano l’incontro, serve altro». La strategia è in parte già abbozzata. Ma si spera non serva: l’obiettivo, in fondo, è solo un incontro con la proprietà. Nulla di impossibile.

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