Comune e Arcivescovile, è guerra di tasse

L'Arcidiocesi di Trento vuole 67 mila euro dal Comune di Rovereto per imposte versate e, a suo dire, non dovute. Palazzo Pretorio, come prevedibile, ha però risposto picche. Di sganciare non ne vuole proprio sapere tanto più che intende evitare scomodi precedenti.

Questo, in estrema sintesi, è il contenzioso tra, diciamo così, sacro e profano, Chiesa e Stato (ancorché per interposta persona). In ballo c'è la tassa sugli immobili che la Curia, per conto dell'Arcivescovile di viale Trento, paga ogni anno a palazzo Pretorio.

La scuola, però, ha chiesto all'ente pubblico la restituzione dei tributi versati per il 2014, come detto quasi 70 mila euro. Una cifra tutt'altro che trascurabile sia per l'uno che per l'altro. Gli uffici finanziari e legali di piazza del Podestà, non a caso, si sono rifiutati di aprire i cordoni della borsa specie in epoca lontana anni luce dall'Eldorado dei municipi italiani.

La Diocesi, chiaramente, davanti al diniego ha deciso di insistere passando alle carte bollate e portando il caso davanti alla commissione tributaria di primo grado di Trento. Che ieri, a due anni dalla dichiarazione di guerra, ha finalmente preso in mano la tenzone e ha aperto la discussione tra le parti. Per la decisione, però, si dovrà attendere almeno un mese perché i commissari, dopo aver raccolto le ragioni dell'uno e dell'altro, hanno trattenuto la pratica per la sentenza.

Che dovrà essere necessariamente meditata visto che in ballo c'è molto di più dei soldi. Soprattutto per le scuole cattoliche che temono di dover chiudere per sempre privando gli allievi di una scelta didattica teoricamente garantita dalla Costituzione.

Le varie associazioni, non a caso, contestano la richiesta di imposte sugli edifici di formazione. E mettono sul piatto l'incasso delle rette - è pur sempre una scuola privata ancorché parificata a quella pubblica - insufficiente a coprire le spese ma, soprattutto, inferiore alla soglia (6 mila euro) fissata da un decreto ministeriale del 2012 per corrispondere l'Imu al Comune. Con rette basse, ha ricordato in udienza la Curia, non ci sarebbe scopo di lucro e dunque non si tratterebbe di attività commerciale, presupposto indispensabile per l'imposizione del tributo sugli immobili.

Per contro palazzo Pretorio fa leva su una sentenza della corte di cassazione che non riconosce, di fatto, valore di legge ad un regolamento, ancorché ministeriale. E che configurerebbe l'eventuale esenzione dalla tassa sugli immobili come aiuti economici pubblici ad un'istituzione privata. Insomma, se le lezioni si pagano, sostengono gli ermellini, è giusto che si onorino anche le tasse visto che, proprio per via delle rette dovute da chi si iscrive, la scuola paritaria si può configurare come attività commerciale.

Per l'Arcidiocesi, invece, la retta è inferiore al costo medio per alunno e dunque non in grado di coprire le spese. Alla faccia, ricordano in viale Trento, dell'attività con finalità di lucro ma, appunto, un ente di formazione che, come tale, dovrebbe essere sgravato da imposte sugli edifici dove si impartiscono le lezioni. Il braccio di ferro tra Diocesi e Comune, tra l'altro, rischia di diventare un caso pilota. Se la commissione tributaria darà ragione all'Arcivescovile, infatti, potrebbe aprirsi una voragine nel bilancio municipale non solo di Rovereto. A quel punto, infatti, la scuola potrebbe chiedere la restituzione dell'Imu anche per gli anni precedenti.

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