«Siamo schiavi di whatsapp» Don Nicolli invita a riflettere

di Nicola Guarnieri

Il telefonino può rovinare la vita? Esperti di tutto il mondo si interrogano perché l’avvento della tecnologia nelle comunicazioni ha raffreddato le relazioni sociali. Di questo avviso è anche monsignor Sergio Nicolli, decano di Rovereto e parroco di San Marco.


«Dipende dall’uso che se ne fa. Io il cellulare ce l’ho da tantissimo tempo e mi serve proprio per la sua funzione originaria: telefonare. Le altre funzioni, invece, sono drammatiche».


Niente social o ammiccamenti alla tecnologia?
«No, mi sono imposto di non andare oltre. Uso lo smartphone solo per necessità ma già Whatsapp crea problemi e, non a caso, mi sono tolto dai gruppi perché sono dispersivi».


Il cellulare è dunque un pericolo?
«Se si usa in maniera essenziale no, è uno strumento di comunicazione molto utile. Se però si usa per altri scopi invade la vita in maniera inaccettabile, ruba tempo».


Chi è più a rischio?
«I giovani e vanno aiutati perché c’è davvero il serio rischio di spersonalizzazione».


A soffrire sono le relazioni?
«Sicuramente. C’è il rischio concreto di considerare relazione uno scambio di messaggi ma questo non aiuta le relazioni vere, personali. I giovani vanno aiutati perché il cellulare si perde in futili discorsi, spesso lontani dalla realtà. Posso dire che se evita viaggi per una comunicazione veloce va benissimo ma la relazione personale è insostituibile e non può essere delegata ad un telefonino. C’è bisogno di guardarsi negli occhi, parlare, confrontarsi e non di nascondersi dietro sms o frasi striminzite magari sul niente».


Ormai, però, gli smartphone ci hanno invaso.
«Già, per questo servono lezioni di uso delle tecnologia per i giovani. Devono capire che è utile se usata bene ma che non si può delegare ad essere le relazioni. E poi diventa un pericolo ma anche per i bambini. Basti pensare che oggi i genitori regalano il cellulare alla prima comunione. Il primo passo, non a caso, è rendere consapevoli i genitori».

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