Arcese risarcirà gli autisti licenziati

Non hanno ottenuto tutto quello che volevano, cioè la reintegra sul posto di lavoro. Ma gli ormai ex dipendenti Arcese che, nel luglio scorso, hanno fatto causa al colosso degli autotrasporti, contestando i 49 licenziamenti del 2014, hanno comunque vinto la loro battaglia. Perché il tribunale di Rovereto ha stabilito che la procedura che ha portato agli esuberi è stata scorretta. Il giudice Michele Cuccaro ha condannato l’azienda al pagamento di 20 mensilità - comprensive di trasferte e straordinari - ad ogni dipendente che ha impugnato il licenziamento. 
Banalizzando molto una questione complessa, i dipendenti licenziati - sostenuti dai sindacati Sbm e Cobas e assistiti dagli avvocati Angela Modena di Rovereto e Dario Rossi di Genova - contestavano i presupposti economici su cui i licenziamenti si fondavano. L’azienda - assistita dagli avvocati Giorgio Scherini, Roberto Retus e Paolo Pasolli - li avrebbe lasciati a casa per aumentare gli utili, tirando sui costi, e facendo guidare i propri mezzi, attraverso aziende satellite,  da autisti di altri Paesi, con retribuzioni più basse. Una tesi contestata da Arcese, che ha ribadito come la necessità di licenziare quei 49 dipendenti derivasse esclusivamente dal costante calo di fatturato. Rigettata, naturalmente, anche l’accusa di aver fatto lavorare manodopera straniera. 
L’intera causa si è presto concentrata su un dettaglio: il fatturato. Il perché è nelle pieghe delle procedure sindacali. Quando si apre una procedura di mobilità, l’azienda invia alle organizzazioni sindacali una comunicazione in cui inserisce i presupposti che rendono necessario il taglio del personale. Questo perché i sindacati devono dare il loro benestare, e lo possono fare solo se hanno un quadro chiaro della situazione. All’epoca Cgil Cil e Uil firmarono perché - garantì Arcese - il fatturato era il calo. 
È questo il punto. Il sindacato di base multicategoriale e i Cobas sostenevano, al contrario, che il fatturato in calo non è mai stato. Per questo il giudice Cuccaro ha preteso di avere i bilanci, che ha poi affidato alla commercialista Marilena Segnana, chiamata in qualità di perito a chiarire la reale situazione economica e finanziaria di Arcese dal 2009 al 2014. E lei ha detto che no, il fatturato non è stato in calo. Di più, dal 2010 l’azienda è stata in utile. «La comunicazione del 19.12.2014 va pertanto  -scrive il giudice Cuccaro in sentenza - considerata come infedele e fuorviante, dal momento che ha enfatizzato i dati negativi e non ha, così, messo in condizione le organizzazioni sindacali di valutare esattamente la reale salute dell’azienda alla data di avvio della procedura che ha poi portato all’espulsione di ben 49 lavoratori». Da qui il risarcimento: 20 mensilità per ogni dipendente.
Niente reintegra perché i licenziamenti non sono stati discriminatori. E quanto all’accusa di aver usato società esterne per i servizi di trazione, in luogo dei propri dipendenti, il giudice osserva che «va escluso che sia stata dimostrata in causa l’esistenza di un unico centro d’interessi tra Arcese Trasporti e le società cui la stessa affida servizi di trazione essendo, al contrario, emerso come le società appartenenti al gruppo sono munite di un’organizzazione aziendale autonoma». Il sindacato annuncia ricorso: l’obiettivo è la reintegra.

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