Ermanno Baldo lascia pediatria «Il Trentino scelga il suo modello»

Ieri era l'ultimo giorno di lavoro in reparto per il primario, che dice la sua sulla riorganizzazione della sanità

di Luisa Pizzini

È un capitolo importante quello che si è chiuso ieri per il dottor Ermanno Baldo: dopo dieci anni lascia la direzione del reparto di pediatria del Santa Maria del Carmine di Rovereto. Da domani sarà ufficialmente in pensione, ma di capitoli nel libro della sua storia personale ne scriverà altri, che inevitabilmente s’intrecceranno con la storia della pediatria trentina. Ci sono nuovi progetti all’orizzonte come la collaborazione con le Terme di Comano, che andrà a dirigere, e altri obiettivi da inseguire nel campo della riabilitazione respiratoria che resta uno dei suoi cavalli di battaglia.

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Dottore, facciamo un salto indietro nel tempo. Nel 1995 è tornato a lavorare all’ospedale di Rovereto, dove dal 2007 è primario di pediatria. Cos’ha trovato qui?
Rovereto era un bel riferimento grazie al dottor Nino Fioroni, maestro della pediatria trentina. Già allora c’era propensione a fare specialistica in questo reparto, con approfondimenti di gastroenterologia, pneumologia, radiologia e molto altro. E c’era già un indirizzo verso la cura delle patologie croniche. Insomma, sono venuto qui perché si potevano fare buone cose e per una scommessa di cui resto convinto dopo aver lavorato in ospedali anche grossi, sempre più difficili da gestire. Qui, in un ospedale con più di 400 posti letto, ci si parla tra specialisti, ci si confronta e si hanno a disposizione le migliori attrezzature diagnostiche, caratteristica unica del Trentino. È migliore anche il rapporto con il paziente in un ospedale che ha la giusta dimensione.
È soddisfatto quindi di quanto è riuscito a fare...
Sono riuscito a fare ciò in cui credevo: dare più attenzione alle patologie croniche, quelle che in tutta Europa impiegano la maggior parte della spesa sanitaria, portare avanti l’attività del Centro provinciale di supporto per la cura della fibrosi cistica e del centro cure palliative oltre all’istituzione della rete allergologica, che ancora però non è completa.
Il reparto roveretano è stato accreditato come centro d’eccellenza secondo gli standard della Società italiana fibrosi cistica. Sugli ultimi due progetti invece c’è ancora molto da fare.
Il centro cure palliative è legato alla fibrosi cistica: vent’anni fa questa malattia non dava scampo, oggi c’è un’aspettativa di vita superiore ai 45 anni. Come per tutte le malattie inguaribili questa è una grande conquista in termini di qualità della vita. Siamo in una fase di transizione: le malattie croniche dei bambini che vengono curate nei reparti di pediatria ora comportano anche problematiche da adulto. E se la rete creata con le altre specializzazioni è servita per curare la fibrosi cistica, lo stesso va fatto per le malattie croniche con le cure palliative. Va fatto un lavoro di messa in comune delle competenze e delle location, servono cure coordinate tra ospedale e territorio per questi pazienti.
Una rete. Come quella allergologica.
Quella è un sogno acerbo. E le spiego perché. Attualmente abbiamo nove ambulatori sul territorio in cui i pediatri formati con corsi universitari stanno creando una rete unica in Italia. Visitano i bambini su indicazioni dei pediatri di base, valutano il livello di allergia e indicano dove mandarli per gli approfondimenti che vanno fatti. È così che bisogna lavorare: un pediatra da solo in una valle è anacronistico, come un medico che lavora in ospedale senza dialogare con il territorio è fuori dal mondo ora.
Parla di valli e in Trentino pensiamo alle battaglie sui punti nascita periferici. La loro riorganizzazione vi riguarda da vicino, perché viene chiesta la disponibilità anche ai medici di pediatria a Rovereto di coprire i turni a Cles e Cavalese e questo sta mettendo a dura prova l’organico del reparto. Cosa ne pensa?
Il piccolo è bello, ma non quando si parla di qualità dei servizi. Un pediatra da solo in un ospedale periferico non può garantire la qualità. Lo scorso fine settimana chi ha coperto il turno a Cavalese ha visitato due pazienti per poco più di un mal di gola ed altri due per ancora meno. Non ha senso. E litigare sui parti a Cavalese è anacronistico. A Rovereto abbiamo dodici medici e siamo in difficoltà: dobbiamo far fronte a malattie, gravidanze, problemi familiari dei colleghi. Non dubito sul fatto che questi problemi verranno risolti, sono superabili in una visione provinciale ed extraprovinciale di collaborazione. Il Trentino deve scegliere la sua strada, il suo modello, sapendo di essere piccolo ma senza paura di confrontarsi. Guardando oltre, ad esempio ad una collaborazione con il nuovo Centro di riferimento per le cure pediatriche nato ad aprile all’ospedale BorgoTrento di Verona: è il centro più grande d’Italia.
Presto verrà inaugurata la nuova neonatologia a Rovereto. C’è chi polemizza sul fatto che sarà «a metà con Trento» e teme lo smembramento dell’ospedale.
Da quando si è voluto razionalizzare la rete dei punti nascita, Rovereto ha fatto un salto in avanti. L’Azienda non vuole concetrare troppo su Trento e sta creando le condizioni perché anche neonatologia faccia un buon lavoro in rete, con competenze diverse: l’urgenza al S. Chiara, le malattie croniche a Rovereto. Certo, servono personale e strutture.
E chi verrà dopo di lei, si chiedono in molti, sarà all’altezza?
È un orgoglio che colleghi famosi, capaci e  noti in tutt’Italia si siano candidati per dirigere il reparto, che si presenta come un posto dove poter fare un’esperienza di ottimo livello. Chiunque arriverà sarà capace.
E lei ora cosa farà?
Di certo lavorerò poco da solo, coerente con quello in cui credo.

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