Botte e coltello alla gola per violentarla

di Paolo Liserre

A questo punto considerarlo un «violentatore seriale» non è forse così azzardato. Anche perché adesso per due episodi distinti ma praticamente in fotocopia ci sono tre sentenze che confermano i fatti e lo inchiodano alle sue responsabilità: primo e secondo grado per le violenze che ha dovuto subire la figlia di appena 13 anni; da ieri mattina quella del tribunale di Rovereto anche per le stesse violenze di cui era stata vittima qualche anno prima la cognata che all’epoca dei fatti era appena adolescente.

Una storia triste e squallida che al di là delle decisioni dei giudici e dei risarcimenti di cui avranno diritto le vittime, lascia ferite profonde e difficili da rimarginare nell’animo di quelle ragazzine che stavano appena cominciando a vivere.

Il «violentatore seriale» è un uomo di 34 anni residente in un comune dell’Alto Garda ma attualmente in carcere a Spini di Gardolo proprio in virtù della condanna (6 anni e 4 mesi di reclusione, confermata in appello non più tardi del gennaio scorso) legata agli episodi di violenza sessuale consumati ai danni della figlia. All’epoca la vittima aveva appena 13 anni ma subito dopo aver subito le perverse attenzioni del padre ebbe il coraggio di raccontare tutto alla mamma e scattò la denuncia che poi portò alla successiva inchiesta, all’incriminazione e alla condanna. Ma proprio dagli accertamenti su quell’episodio venne fuori che in precedenza l’uomo aveva riservato lo stesso «trattamento» anche alla giovane cognata che di anni allora ne aveva 16.

In precedenza la ragazza, dopo aver trovato riparo in una struttura protetta per minori, aveva denunciato l’accaduto ma le successive pressioni dell’uomo e di alcuni famigliari l’avevano indotta a ritirare la denuncia e la cosa era finita del dimenticatoio. A quel punto però, dopo il «grido di dolore» della nipotina, il quadro era abbastanza chiaro e nelle sue deposizioni la stessa figlia dell’uomo ha raccontato agli inquirenti che quando il papà abusò di lei, per intimorirla, le raccontò di come aveva fatto la stessa cosa nei confronti della zia. In tutte e due le vicende la tecnica è sempre stata la stessa: minacce anche col coltello e violenza sessuale.

Nel caso della zia (due gli episodi contestati, a cavallo tra il 2008 e il 2009) anche infliggendo alcune sberle alla vittima sino a stordirla e farle perdere i sensi prima di avere un rapporto con lei. In quest’ultima vicenda, quella andata a giudizio ieri mattina davanti al gup di Rovereto Monica Izzo, l’uomo si è difeso affermando che la cognata era consenziente (strategia finalizzata a ottenere uno sconto di pena), una tesi e una «giustificazione» che però è stata respinta dalla parte lesa (rappresentata in giudizio dall’avvocato Francesca Zanoni di Riva) e non accolta dal giudice dell’udienza preliminare che alla fine ha comminato all’uomo una pena pesante considerato il rito abbreviato. Sei anni e due mesi di reclusione e una provvisionale a favore della parte lesa di 40.000 euro, fermo restando che per i danni si procederà in sede civile.

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