Tredicenne violentata Condanna bis al papà

di Paolo Liserre

Una torrida giornata di piena estate, non c’è scuola e per un adolescente è forse il momento più bello della vita: niente compiti, niente interrogazioni, niente levatacce ma solo giochi all’aria aperta, spiaggia, bagni e scorpacciate di ore trascorse con gli amici e con le amiche. L’estate di due anni fa però è diventata un incubo per una ragazzina di 13 anni (ancora oggi minorenne quindi) residente con la famiglia nell’Alto Garda, vittima innocente delle squallide attenzioni di un genitore che del padre, del vero senso del «padre», deve avere poco o nulla. Minacciata con un coltello e abusata sessualmente dal papà, esattamente come l’uomo aveva fatto otto anni prima con la sorella della moglie. Un trauma psicologico devastante per una bambina che sta appena sbocciando alla vita.

La piccola però ebbe subito il fegato di raccontare tutto alla mamma e da quel racconto prese le mosse l’indagine delle forze dell’ordine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Rovereto, che proprio ieri mattina ha portato alla condanna bis dell’uomo al termine del processo di appello celebrato al palazzo di giustizia di Trento. Sei anni e 4 mesi di reclusione fu il verdetto del gup di Rovereto Monica Izzo; sei anni e 4 mesi la conferma della Corte d’appello di Trento arrivata ieri. L’uomo, difeso dall’avvocato Andrea De Bertolini di Trento, si trova da tempo rinchiuso in una cella del carcere di Spini di Gardolo e lì vi rimarrà, in attesa tra l’altro del giudizio con rito abbreviato riguardante il primo episodio di violenza sessuale, quello ai danni della cognata, dieci anni or sono, che si celebrerà prossimamente a Rovereto.

Lo squallido fatto di cronaca si verificò all’alba del 21 luglio di due anni or sono, in un appartamento di un comune dell’Alto Garda (non forniamo volutamente riferimenti precisi per tutelare la privacy della piccola vittima). Secondo il racconto fatto agli inquirenti dalla bambina, la piccola si era svegliata verso le quattro e mezza del mattino perché aveva sentito i genitori uscire di casa.

Il papà, dopo aver accompagnato la moglie al lavoro, aveva fatto ritorno a casa e si era presentato nella cameretta della figlia con in mano un grosso coltello da cucina. L’aveva costretta a seguirla in salotto, le aveva tappato la bocca con una mano e l’aveva minacciata dicendole che se avesse raccontato qualcosa o avesse tentato di scappare l’avrebbe uccisa.

Poi il peggio, la violenza. La sera però la bimba racconta tutto alla mamma che il giorno seguente la porta dalla zia. E in quel momento parte l’indagine. Che porta alla condanna di primo grado (la vittima si è costituita parte civile, rappresentata dall’avvocato Francesca Zanoni di Arco) e anche a far riaprire il caso di violenza subito dalla cognata dell’uomo. Fino alla conferma della condanna di ieri. E non è finita.

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