Nella vecchia Villa Rosa va salvato il bassorilievo di Aldo Caron

È il secondo «luogo del cuore» del FAI (Fondo Ambiente Italiano) più votato in tutta la Valsugana, ma neanche ora che si è chiusa la campagna elettorale è mai stata presa in considerazione: stiamo parlando dell’ex Villa Rosa, che da poco più di cinque anni versa in totale stato di abbandono e, come testimoniato da l’Adige nel suo ultimo reportage (15 settembre scorso), le condizioni attuali sono tutt’altro che buone. Roghi, devastazione totale, graffiti: il regno dell’anarchia e dell’incuria, colpevole, di chi doveva fare qualcosa e non l’ha fatto.
Ma c’è una particolarità che finora, non si sa per quale miracolosa mano, non ha subito alcun danno. 
Un angolo incontaminato che resiste, a tutto e tutti: si tratta dell’opera d’arte che fungeva da pala d’altare della cappellina dell’ospedale. Risale al 1955 ed è una grande scultura in ceramica a bassorilievo di Aldo Caron,  artista molto considerato nato a Pove del Grappa nel 1919 e morto a Borgo Valsugana nel 2006: Caron lavorò con artisti del calibro di Renato Guttuso e Emilio Greco, con varie commissioni pubbliche fra le quali quella di Enrico Mattei, fondatore dell’ENI, di una statua di Santa Barbara per la chiesa di Metanopoli, e del bozzetto di un crocefisso in ceramica che dall’inizio degli anni Cinquanta è stato esposto negli uffici del gestore di ogni stazione di servizio AGIP in Italia.
Tra l’altro, il giorno della morte di Alcide Degasperi, il 19 agosto 1954, i familiari lo interpellarono per realizzare il calco del viso dello statista.
Nel 1955 giunse anche la commissione dell’INAIL, ente proprietario di Villa Rosa dal 1951 (aprì nel 1956) come convalescenziario, per realizzare l’opera della cappellina: raffigura la figura di Cristo, in piedi, mentre un angelo gli si avvicina.
Oggi la chiesetta è preda di vandali: le panche sono rovesciate e spaccate, i mobili della sagrestia aperti con il contenuto sparso, ovunque sono sparsi santini religiosi. Ma l’opera d’arte resiste imperterrita e senza un graffio, lo sguardo del Cristo è rivolto a chi entra. Chissà quale timore reverenziale ha bloccato la mano distruttrice.
Peccato solo che prima che l’ultima persona abbandonasse per sempre Villa Rosa al suo destino, nessuno abbia pensato ad una collocazione migliore ad un’opera d’arte (e ad un futuro più degno ad una struttura che risale al 1912, simbolo della capacità architettonica di un altro perginese quale Eduino Maoro). Della scultura, Aldo Caron diceva: «Un modo di dialogare con noi stessi, ciascuno a suo modo. Poi la società la fa diventare merce di consumo. Oggi è in transizione, l’America è sbarcata anche da noi, ma verrà il tempo che ritroveremo noi stessi».  Aldo Caron ha ricevuto molti riconoscimenti e partecipato a numerosissime rassegne tra cui la VII e la IX Quadriennale di Roma e per due volte la Biennale di Venezia (nel 1954 e nel 1956).

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