Operaio morto, Melinda deve pagare 50mila euro

Condanna confermata in Cassazione

di Flavia Pedrini

A undici giorni dall' assoluzione di tutti e quattro gli imputati finiti a processo per la morte di Aldo Boci, 27 anni, operaio che nell'ottobre 2013 venne trovato morto in una cella frigo del consorzio Cfc di Cles gestito da Melinda, arriva invece la conferma della condanna della cooperativa in base alla legge sulla responsabilità amministrativa delle società.

I giudici della Cassazione hanno infatti respinto l'articolato ricorso presentato da Melinda attraverso l'avvocato Franco Carlo Coppi, confermando la sentenza di secondo grado del 5 aprile 2016, che aveva condannato il consorzio a pagare 50 mila euro. Nel dettaglio si tratta di una sanzione pecuniaria di 30mila euro, cui vanno aggiunti altri 20 mila euro, quale ipotetico profitto del reato di omicidio colposo, ovvero il «sensibile risparmio di spesa» determinato dalla mancata attuazione delle specifiche cautele anti infortunistiche e in particolare della mancata redazione del Documento di valutazione del rischio di interferenza (Duvri), in relazione ai lavori appaltati alla società Longofrigo srl, di cui era dipendente il giovane albanese. 

Melinda era finita a giudizio in seguito all'incidente mortale del 3 ottobre 2013: quel giorno l'operaio era arrivato in val di Non con un collega per un intervento nel magazzino di Cles. I due tecnici avevano lavorato tutto il pomeriggio sugli impianti di refrigerazione. I lavori erano ormai conclusi quando Aldo Boci, come ricostruito, si fermò a sostituire una ventola all'interno di una cella frigo, mentre il collega raggiungeva gli uffici per farsi firmare la documentazione. Poco dopo il giovane operaio albanese venne trovato senza vita all'interno della cella numero 34: si era accasciato all'improvviso, mentre si trovava su un carrello elevatore ad alcuni metri dal suolo. I quattro imputati assolti in primo grado - il presidente di Melinda, il direttore dello stabilimento, il responsabile del Servizio prevenzione e il datore di lavoro della vittima - avevano scelto la strada del dibattimento, mentre la società e il frigorista scelsero il rito abbreviato. Il processo di primo grado, il 12 marzo 2013, si era concluso con una duplice assoluzione, ma in appello le sorti di Melinda erano cambiate ed era arrivata la condanna.

La società, per parte sua, ha sempre respinto ogni addebito rispetto alla morte dell'operaio ed ha impugnato la sentenza in Cassazione, sollevando molteplici profili e negando in primis che che vi fosse stata una «consapevole sottovalutazione dei rischi relativi alla sicurezza sul lavoro, finalizzata all'ottenimento di risparmi di spesa», come sosteneva l'accusa. Tanto più che il presunto vantaggio di 20mila euro sarebbe da considerare irrisorio. Anzi, il consorzio lamentava anche un travisamento circa le spese per la sicurezza messe in campo, pari a 300 mila euro l'anno, «da sempre - veniva evidenziato - e da prima dell'infortunio, e non solamente a seguito di esso, come sostenuto erroneamente dalla sentenza impugnata». Ma l'azienda ribadiva anche che era in vigore una «apposita procedura Ps 02 denominata celle frigorifere ad atmosfera controllata» e che non si era mai verificato alcun incidente prima in azienda. A tale proposito, va detto, che se per i giudici di Cassazione la dinamica è chiara - il giovane morì per asfissia causata dall'immissione di azoto - le difese degli imputati (assolti in primo grado) ritengono che resti il «giallo» sulle vere cause della morte del 27enne. 

Ma il ricorso, come detto, è stato ritenuto infondato. «È evidente come, nel caso di specie, il Consorzio Melinda - si legge - abbia ritratto un oggettivo vantaggio dalla sistematica e reiterata violazione delle norme antinfortunistiche». Per i giudici «emerge infatti chiaramente che le previsioni del Consorzio Melinda in tema di sicurezza del lavoro fossero estremamente lacunose» e che questa condotta abbia portato un vantaggio economico indiretto, derivante sia dalla mancata elaborazione del Duvri (costo 250-700 euro) che, soprattutto, dall'adozione delle misure necessarie per evitare il rischio, risparmio stimato in 20mila euro.

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