Finiscono a processo gli archeologi fai da te

La difesa: reperti antichi? No, fatti in casa

Nell'estate del 2013 erano stati pizzicati dai carabinieri «armati» di metal detector a cacciare reperti attorno a Castel San Pietro, sopra Ton in val di Non. Ora due collezionisti di oggetti antichi sono a giudizio per impossessamento illecito di beni dello Stato e per violazione della normativa sulle ricerche archeologiche. Il capo di imputazione contestato a F.E., 64 anni di Pergine, e D. C., 31 anni di Ala, pare il catalogo di un museo. Ma la difesa, sostenute dagli avvocati Andrea de Bertolini e Cristina Luzzi ha calato una carta a sorpresa: una consulenza tecnica per valutare il materiale storico sotto sequestro. In parte, infatti, potrebbe trattarsi di copie, oggetti in bronzo che sarebbero stati fusi direttamente da F.E. che per passione si divertiva a realizzare i calchi in cera, fondere il bronzo e sottoporre il metallo a procedure di invecchiamento precoce. Un lavoro di ottima fattura visto che avrebbe ingannato gli inquirenti e su cui la Soprintendenza per i beni archeologici non si è espressa (o almeno non c'è una sua relazione agli atti del processo). 

L'inchiesta era partita a carico di tre "archeologi" fai da te. I carabinieri, supportati dai colleghi del nucleo tutela patrimonio di Venezia, avevano perquisito le abitazioni dei soggetti fermati e identificati nei pressi di castel San Pietro. A casa di due di loro venne trovato un piccolo tesoro di oggetti antichi. Molti di questi vennero posti sotto sequestro per una più attenta valutazione. C'era anche una preziosa collezione di monete antiche sequestrata al sessantenne della Valsugana. In totale erano 385 monete, di epoche diverse: si andava dal periodo romano repubblicano fino ai tempi moderni. La collezione vale circa 60 mila euro, ma la stessa Soprintendenza ha riconosciuto che era detenuta regolarmente. Le monete erano state in parte ricevute in eredità dall'indagato da suo padre, in parte erano state acquistate sul mercato delle antichità. Le contestazioni a carico di F. E. sulle monete sono state archiviate dalla procura e la collezione è stata restituita.

Restano però moltissimi reperti storici su cui si fonda l'accusa di impossessamento di beni dello Stato (un delitto punito con pena fino a tre anni di reclusione). Ecco qualche esempio dei reperti citati nel capo di imputazione. A carico di D.C: «3 pietre focaie XVI-XIX secolo; 9 ferri di cavallo la cui datazione può partire dall'epoca medioevale; 6 campanelli da bestiame in ferro di epoca medioevale, una accetta leva chiodi in ferro, una scure in ferro e un'ascia in ferro con taglio orizzontale di epoca medioevale, 38 frammenti di recipienti in ceramica graffita e dipinta, manufatti di vasta distribuzione prodotti tra il XIV e il XVI secolo; tre recipienti frammentari in ferro e tre manici frammentari in ferro dell'età protostorica. Ancor più impressionante la collezione contestata a F. E.: 3 fibule in bronzo a croce del tipo Zwiebelknopffibel IV secolo d. C.; un bronzetto di piccole dimensioni raffigurante Iside Fortuna con cornucopia di epoca romana, I-II secolo d. C.; ascia in ferro con immanicatura a codolo rettangolare, datazione seconda età del Ferro (metà VI-I sec. a.C.; sigillo di Marquard vom Stein»).

Secondo la difesa parte di questi oggetti in realtà sono copie perfette realizzate dallo stesso imputato (la consulenza per valutare i "falsi" è stata affidata al commerciante d'arte antica Paolo Pamelin). Altra parte invece sarebbe stata detenuta legittimamente.

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