Piano ospedali: ecco i cambiamenti

La riorganizzazione della rete ospedaliera, che sta dividendo la giunta provinciale chiamata ad approvarla, si basa sulle previsioni del piano di miglioramento 2013-2015 redatto dall’Azienda sanitaria e approvato dalla giunta il 19 luglio del 2013, quindi nella scorsa legislatura. L’assessora Donata Borgonovo Re non perde occasione per ricordarlo. E lo ha scritto anche nel documento con i tagli agli ospedali di valle che ha consegnato ai colleghi di giunta e agli amministratori del Pd. Ecco cosa prevede in dettaglioL'assessora spiega la riorganizzazione: VIDEOLa MAPPA degli ospedali perifericiLa replica di Borgonovo Re a Gilmozzi: AUDIO

di Luisa Maria Patruno

 

 

La riorganizzazione della rete ospedaliera, che tanto sta preoccupando in queste ultime settimane amministratori e cittadini che vivono nelle valli trentine e che soprattutto sta dividendo la giunta provinciale chiamata ad approvarla, si basa sulle previsioni del piano di miglioramento 2013-2015 redatto dall’Azienda sanitaria e approvato con delibera dalla giunta il 19 luglio del 2013, quindi nella scorsa legislatura, quando assessore alla salute era Ugo Rossi, il quale pochi mesi dopo sarebbe stato eletto presidente della Provincia. L’assessora Donata Borgonovo Re non perde occasione per ricordarlo. E lo ha scritto anche nel documento con i tagli agli ospedali di valle che ha consegnato ai colleghi di giunta e agli amministratori del Pd. Ed eccoli i contenuti del documento.

 

VOLUME MINIMO DI ATTIVITÀ
Il programma di riorganizzazione degli ospedali periferici si basa sui principi di «qualità, sicurezza e sostenibilità economica» che passano dalla «definizione di un volume minimo di attività al di sotto del quale, per salvaguardare l’accessibilità del malato al servizio, può venire meno il livello di qualità, sicurezza ed efficienza».
Di conseguenza si prefigura: «Una diffusione capillare dei servizi di base che hanno casistica frequente». E per contro: «La concentrazione negli ospedali di riferimento (Trento e Rovereto) delle attività a maggiore complessità e casistiche meno frequenti, in rete con gli ospedali di distretto».

 

GLI OSPEDALI «HUB» DI TRENTO E ROVERETO
Il modello è quello della ruota «Hub & spoke», letteralmente «mozzo e raggi», utilizzato ad esempio per la sanità in Emilia Romagna, indicando come «hub» centrali gli ospedali di Trento e Rovereto, che assicurano le funzioni ospedaliere di primo livello (60-65% dell’attività complessiva) e di secondo livello (specialistiche) in favore dei territori serviti dai «raggi», ovvero i 5 ospedali di valle: Arco, Tione, Cavalese, Cles, Borgo, che svolgono il restante 35-40% delle funzioni.
Trento e Rovereto garantiscono l’urgenza sulle 24 ore e le funzioni specialistiche a elevata complessità e tecnologia. I due ospedali sono inoltre collegati in rete fra di loro e con gli ospedali di valle «in senso bidirezionale prevedendo il decentramento di parte della casistica programmata». Il piano prevede infatti che per chirurgia e ortopedia vengano individuati alcuni tipi di interventi che saranno eseguiti negli ospedali periferici.
Questi ultimi svolgeranno solo attività programmata e urgente con esclusione della chirurgia notturna e festiva. Sarà potenziata invece l’area medica soprattutto per la gestione delle malattie croniche e degli anziani.

 

ANCHE AD ARCO PUNTO NASCITA IN FORSE
Per l’ospedale di Arco il piano prevede che dall’attuale servizio di ostetricia e ginecologia garantito sulle 24 ore con 14 posti letto e punto nascita con 10 culle e servizio di Preocreazione medicalmente assitita, e una chirurgia sulle 24 ore con 10 posti letto, si passi a un’unica area funzionale omogenea di chiurgia che comprenderà «chirurgia generale, ortopedia, ginecologia con servizio di Procreazione medicalmente assistita e oculistica in regime di day-week surgery e ambulatoriale» per gli interventi dunque programmati e non sulle 24 ore. Inoltre il piano parla di «area materno infantile con gestione del percorso nascita» specificando che è «da valutate la presenza del punto nascita», così come per la mammografia. Rimane medicina e pronto soccorso con i servizi di emergenza territoriale e di continuità assistenziale.

 

A CAVALESE STOP AL PUNTO NASCITA
Per l’ospedale di Cavalese, dove il numero dei parti così come per Tione è molto sotto lo standard internazionale di sicurezza dei 500 l’anno, il piano prevede solo la gestione del «percorso nascita», che vuol dire l’assistenza dall’inizio della gravidanza al parto. Sparisce il punto nascita. Attualmente ginecologia ha 8 posti letto e 8 culle. E si definisce «da valutare la presenza della diagnostica mammografica», come per tutti gli altri ospedali di valle. Le sale operatorie per chirurgia, ortopedia e ginecologia funzioneranno solo «h12» quindi sulle 12 ore dal lunedì al venerdì. Oggi funzionano sulle 24 ore anche sabato e domenica. Rimane il pronto soccorso.

 

A TIONE BASTA PARTI
La sorte di Tione è analoga a quella di Cavalese. Oggi ostetricia e ginecologia è un servizio sulle 24 ore con 6 posti letto e 8 culle. In futuro le sale operatorie di chirurgia, ortopedia e ginecologia funzioneranno solo per interventi programmati nei giorni feriali. Rimane la gestione del «percorso nascita» ma non ci sarà più il parto.

 

BORGO, CHIRURGIA SOLO PROGRAMMATA
All’ospedale di Borgo, il servizio di ginecologia e ostetricia era già stato tolto. La novità riguarderà l’area funzionale di chirugia che era sulle 24 ore compreso il week end e passerà invece a un regime di chirurgia con interventi programmati nei giorni feriali in «chirurgia generale, ortopedia e traumatologia e odontostomatologia». Resta il pronto soccorso.

 

CLES, NON PERDE NULLA

L’ospedale di Cles è l’unico tra gli ospedali periferici che si vede confermato il «punto nascita comprendente ostetricia e pediatria» con un servizio garantito sulle 24 ore e tutti i giorni. Oggi l’area materno infantile comprende 10 posti letto e 8 culle.
Rimane funzionante anche nel week end la chirurgia generale, ortopedia e traumatologia oltre a ginecologia. La chiurgia a Cles ha 26 posti letto.
Rimangono anche le funzioni dell’area medica, che comprende medicina interna e geriatria, reparto che conta 68 posti letto.

 

GILMOZZI NON CI STA

«Questo è un modello di rete ospedaliera elaborato dall’Azienda sanitaria, che è basato esclusivamente su un criterio di spesa. E noi non lo possiamo condividere. Abbiamo chiesto all’assessora Borgonovo Re di considerare non solo il dato economico ma anche le esigenze di un territorio di montagna che non vogliamo che si spopoli. Ma se lei insisterà, come pare, nell’andare dritta sulla sua strada, senza darci risposte, noi quel provvedimento non lo voteremo». L’assessore provinciale ai lavori pubblici ed enti locali, Mauro Gilmozzi (Upt), già sindaco di Cavalese, dice «no», senza troppi giri di parole, al progetto di riorganizzazione degli ospedali periferici delineato dalla collega del Pd che a suo dire ridurrà le strutture di valle a dei cronicari o poco più.

 

Assessore Gilmozzi, la sua collega Borgonovo Re sostiene che nella scorsa legislatura approvando il piano di miglioramento voi avevate già condiviso questa impostazione. Cosa è cambiato?
Il piano di miglioramento non è la Bibbia. E poi lo ha fatto l’Azienda non la giunta. Noi riteniamo che quella che è stata presentata è una proposta «azientalistica», basata solo su un dato di spesa non di sicurezza o qualità del servizio. Infatti anche i tecnici hanno confermato che è possibile garantire i parti negli ospedali periferici in sicurezza con la presenza di ginecologo e anestesista. Certo, costa di più, ma è possibile. Così come con le mammografie, muovendo il personale o portando su le macchine. Il piano è pensato per risparmiare, quindi si parla di chirurgia solo diurna e programmata perché può essere fatta con tre medici di meno o solo di parto fisiologico così non serve un primario che costa 50 mila euro di più.

 

Ma non è rilevante la questione dei costi?
Certo, ma sinceramente se si guarda la spesa sanitaria, che è 1 miliardo e 218 milioni in Trentino, e si divide per abitante, siamo perfettamente in linea. È di 2.200 euro, ma comprende anche case di riposo e assegni di cura (circa 200 milioni), senza i quali si scenderebbe a 1.900 euro circa. Nel resto d’Italia è 1.800 euro, in Austria 2.800, in Francia 2.000. Non è vero che stiamo spendendo di più e l’organizzazione qui è diversa perché diverse sono le esigenze del territorio.

 

Cosa va cambiato secondo lei?
Noi riteniamo che esista un livello minimo vitale dei servizi e se non è garantito viene a mancare il presupposto principale per continuare a definire ancora ospedale una struttura di distretto. Molti dicono: «non si può avere tutto sotto casa». Ma da Canazei a Cavalese sono 46 km e non è sotto casa. Da Storo a Tione sono altrettanti. E se misuriamo rispetto a Trento sono tantissimi. C’è un disagio per lo spostamento dei cittadini che va valutato. L’assessorato deve considerare questo prezzo sociale pagato dai cittadini. L’idea di Trentino che abbiamo noi pretende che la Provincia trovi soluzioni originali perché si applichi il principio di sussidiarietà. Noi, ad esempio, abbiamo oggi dei contratti con i medici che dicono che sopra i 10 km la mobilità non si fa. È chiaro che già questo blocca tutto. Dovesse servire noi dobbiamo fare una modifica di legge per dire che si fa la mobilità su tutta la rete ospedaliera del Trentino.

 

Queste cose l’assessora alla salute non le sta considerando?
Mi pare che sul modello di sanità che vogliamo ci sia una visione diversa di Trentino. È una questione politica che noi poniamo in giunta. Se l’assessora vuole andare avanti per la sua strada noi non la seguiremo.

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