Due amici e il vino biologico alla conquista del Giappone

di Mariano Marinolli

Ai primi di agosto l'azienda vitivinicola Pojer e Sandri festeggerà il quarantesimo di fondazione. Sarà una sobria ricorrenza tra pochi intimi amici, senza alcun sfarzo o cerimonia, perché il troppo lavoro non lo consente. 
Era la prima settimana d'agosto del 1975 quando due giovani amici, Mario Pojer e Fiorentino Sandri , tentarono la fortuna con il vino. Sandri aveva ereditato due ettari di vigneto a Faedo e Pojer si era appena diplomato enologo all'Istituto agrario di San Michele; fu nel vecchio mulino di famiglia, ancor oggi esistente, che Sandri introdusse le prime botti e avviò una fortunata attività in società con l'amico Mario. E fu subito un successo: il connubio nato dalle idee e dall'entusiasmo di Sandri, unite alla lungimiranza e alla tecnica di Pojer, portarono fin dai primi anni di lavoro i vini della piccola cantina di Faedo fino Oltralpe. 

«Rimanemmo increduli quando venimmo a conoscenza che in Baviera si bevevano le nostre bottiglie - racconta Pojer - e, qualche anno dopo, per noi fu una grande soddisfazione vederci recapitare una richiesta di acquisto dei nostri vini dalla lontana America». Il segreto del successo? «Unire l'arte del vino alla tecnologia per ottenere quell'eccellenza che contraddistingue i nostri prodotti». 

I due amici raccontano che inventarono la prima «lavatrice per l'uva», un macchinario composto da un vascone in acciaio dove i grappoli, attraverso l'emissione di microbolle, vengono lavati e asciugati togliendo tutte le sostanza inquinanti (dovute a trattamento o a polveri disperse nell'ambiente). Il brevetto fu poi venduto ad un'industria che oggi produce queste machine in larga scala. «Così abbiamo fatto per tanti altri macchinari - raccontano i due soci - vendendo i brevetti alle grandi industrie e, in cambio, riceverli gratis o ad un costo irrisorio». In cantina, tutto nasce dall'idea per il rispetto assoluto verso l'uva: ogni passaggio della vinificazione è studiato nei minimi particolari, fino alla catena di imbottigliamento, dove le bottiglie nuove vengono avvinazzate, per togliere eventuali impurità, ossia lavandole usando il vino invece dell'acqua. Oppure, per lo spumante, durante il processo di sboccatura, si usa la grappa per aromatizzarlo. 

Pojer e Sandri è divenuto una sorta di monumento per gli esperti del settore: sono all'incirca seimila i visitatori che ogni anno raggiungono Faedo per imparare i trucchi del mestiere dei due viticoltori. «Anche noi siamo stati in Australia, in Sudafrica, in California e in altre parti del mondo per apprendere tecniche che non conoscevamo o che non sono in uso in Italia. Solo scambiando queste informazioni ci si aggiorna sui segreti per migliorare la qualità del prodotto». Le visite alla cantina sono selezionate al momento della prenotazione: «Non vogliamo comitive di turisti o pullman di curiosi che non apprezzano tutto il lavoro che sta dietro al vino, perché non avremmo il tempo materiale per poter spiegare a tutti i la lavorazione dell'uva».

La soddisfazione più grande dopo quarant'anni di attività? «Aver conquistato il Sol Levante: le nostre vendite aumentano a vista d'occhio in Giappone, un mercato dove non si entra senza tanto di certificazioni di qualità, salubrità e genuinità del prodotto». Oggi Pojer e Sandri festeggiano un impero costruito in 8 lustri della loro vita, che consiste in 32 ettari di vigneti tra val di Cembra, Faedo e Rotaliana, con una produzione annua di 250 mila bottiglie tra vino, spumante, aceto e distillati. E il «Merlino» (10 mila bottiglie), prodotto di punta della cantina, sta per essere spodestato dallo «Zero infinito», un vino biologico certificato, senza alcuna aggiunta esogena, che può essere gustato decantato in tutta la sua limpidezza, oppure in maniera rustica, reso torbido dai suoi lieviti «agitandolo prima dell'uso».

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