Salite a dodici le parrocchie affidate a don Vincenzo

di Giuliano Beltrami

Festa e solennità vanno a braccetto quando arriva in una comunità il nuovo parroco. Perché sarà pure calato il numero dei praticanti, ma l'evento è l'evento. A testimoniarlo, ieri pomeriggio, la pieve di Santa Giustina di Pieve di Bono per l'arrivo di don Vincenzo Lupoli era gremita: accanto ai banchi non sono bastate nemmeno le sedie; molti sono rimasti in piedi.
Pochi minuti dopo le 16, sotto un cielo imbronciato che lasciava cadere per fortuna poche gocce, il nuovo parroco ha fatto l'ingresso, passando sul tappeto di petali, ricevuto dai sindaci di Pieve di Bono-Prezzo Attilio Maestri, dalla sindaca di Valdaone Ketty Pellizzari, dai Carabinieri e scortato da quasi venti sacerdoti. Già, perché don Vincenzo (giovane prete arrivato nel Chiese cinque anni fa per amministrare il culto a Condino, Cimego, Brione e Castel Condino) d'ora in poi custodirà le pecorelle di Creto, Strada, Cologna, Por, Agrone, Bersone, Praso e Daone, protetto dai vari santi patroni, dalla Madonna delle Grazie, da San Bartolomeo, dai santi Fabiano e Sebastiano, da Sant'Antonio, da San Pietro e da San Giacomo. Tanto lavoro, ma si potrebbe dire anche tanti protettori.
La festa. Già mezz'ora prima dell'inizio della cerimonia il sagrato è pieno di gente di ogni et, che lentamente affluisce a prender posto.
La solennità. L'organo attacca a tutto volume, e subito dopo (in un misto fra passato e presente) il coro canta, accompagnato dalla chitarra, la canzone in cui si dice che «la strada si apre passo dopo passo» e«il Cielo si spalanca» perché «si può vivere l'unità».
L'arcivescovo Lauro Tisi non è presente perché è in pellegrinaggio a Lourdes, così è il suo delegato che dichiara ufficialmente, con tanto di numeri dei canoni, che don Vincenzo Lupoli è nominato parroco di tutti i paesi della pieve. Alle chitarre si sostituisce il coro con l'organo. Parte il «Gloria in excelsis Deo» e le campane suonano a stormo.
Poi tocca al nuovo parroco, che per inciso sarà aiutato da don Beppino Caldera (una vita da missionario e ora, settantacinquenne, pronto a dare una mano) e da don Michele Canestrini, giovane prete arrivato nel Chiese un paio d'anni fa. 
«Diamo inizio ad una nuova avventura - esordisce. E poi - L'Unità pastorale Madonna delle Grazie è stata una buona vicina di casa: non sono mancati gli scambi, gli incontri e la condivisione di momenti difficili».
Non potevano mancare i saluti all'universo mondo, dalle autorità ai comitati pastorali, dai gruppi del volontariato ai malati, sofferenti e anziani, fino alla sua famiglia, giunta da Avio. Quindi entra nel merito del suo ruolo: «Il rischio di avere un unico parroco per così tante parrocchie sta nel temere che manchi qualcosa, che ci si senta impoveriti. Non è così».
Per suffragare questo pensiero don Vincenzo fa appello al Giappone del Cinquecento, quando i cristiani furono massacrati. Senza preti, ma con la fede, continuarono a credere, finché 250 anni dopo, quando i missionari tornarono, la Chiesa rifiorì. Ciò per dire che «si può andare avanti anche senza prete. L'importante è che ognuno tenga viva la propria fede. Non aspettiamoci che siano gli altri a pensare per noi: dobbiamo essere protagonisti della fede cristiana. Il grande pericolo è vivere in modo esteriore. Non è il tempo di piangersi addosso, continuando a rimpiangere un passato che non c'è più». 
Chiusura con un inno all'accoglienza, accolto da un fragoroso applauso. Naturalmente il ringraziamento più vivo (fatto da don Vincenzo, ma anche dai rappresentanti delle comunità pievane) va a padre Artemio Uberti, che da domani si trasferirà a Roma.

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