Tragedia in Kosovo: muore a 9 anni il piccolo Lorenzo, figlio di una volontaria trentina

di Giuliano Beltrami

Roncone è in lutto. A dire il vero lo sgomento non si respira solo nel paesone dell’alta valle del Chiese, ma molti giudicariesi impegnati nel volontariato sono addolorati da quando si è diffusa la notizia della morte di Lorenzo, il figlio di Cristina Giovanelli.

La tragedia è accaduta venerdì a Klina, il paese ad un’ora e mezza di strada da Pristina, nel Kosovo, dove Cristina e Massimo con i loro figli vivono e prestano la loro opera da parecchi anni. La dinamica dell’incidente (perché tale è stato) non è ancora chiara. Si sa che il bambino di nove anni girava in bicicletta per il borgo. L’incidente è accaduto al termine di una discesa percorsa dal bambino. Probabilmente si sono rotti i freni della bici; sta di fatto che il bimbo si è schiantato contro un container in ferro sbattendo violentemente il capo. È stato immediatamente soccorso, ma le sue condizioni sono apparse subito molto gravi.

È stata chiamata la Caritas, con cui i genitori di Lorenzo sono in contatto per il loro lavoro, la quale ha messo a disposizione un elicottero con cui il bambino, dopo una sofferta decisione viste le condizioni gravissime, è stato trasportato in Italia, e precisamente all’ospedale Mayer di Firenze. Purtroppo Lorenzo non è sopravvissuto ai traumi e nella giornata di lunedì è spirato. I familiari sono accorsi al suo capezzale, così come i parenti e gli amici più stretti, desiderosi di condividere il dolore e di alleviare lo strazio per una tragedia così grande come la perdita tanto improvvisa e crudele di un figlio in tenera età.

Come detto, la notizia ha fatto in fretta il giro della valle. La morte traumatica di una persona  richiama sempre commenti fra la gente, ma quando a morire è un bambino l’attenzione e la solidarietà umana, soprattutto in paesi piccoli in cui è facile conoscersi, conoscere la storia dei protagonisti, assumono proporzioni molto elevate.
Silenzio e dolore. Fra i paesani, gli amici e i familiari c’è sgomento, ma non c’è voglia di parlare. Il dolore, qui fra le montagne, è un sentimento intimo che si preferisce non gettare in piazza. «Ma no - ci dice un parente di Cristina - sarebbe meglio non scriveste nulla».

Gli abbracci e la vicinanza vengono tenuti dentro la porta di casa, con le guance rigate dalle lacrime, ma in un composto silenzio accettato da tutti.
Cristina Giovanelli è originaria di una famiglia molto conosciuta a Roncone, ma a sua volta è conosciuta nella valle del Chiese, anche se la lasciò parecchi anni fa, per la sua attività di volontariato, che parte da molto lontano. È componente, infatti, di quella schiera di anime solidali che nelle Giudicarie ha trovato molti adepti in particolare a partire dal gruppo dell’Operazione Mato Grosso, ma si è diffusa anche attraverso scelte individuali.


 

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Sono un mare le storie che si potrebbero raccontare parlando delle tante persone generose partite per aiutare: storie di persone che da Pinzolo come da Praso, da Roncone come da Tione, sono partite per andare là dove guerre e miseria uccidono, derubano, espropriano, dissanguano. Sono persone singole, ma anche coppie che hanno scelto di spendere la loro vita per condividere con gli ultimi degli ultimi il tentativo di emanciparsi dalla povertà.

La storia di Cristina Giovanelli è una di queste. Si era sul finire del ventesimo secolo quando decise di dedicarsi ad una terra che era stata martoriata dalla guerra: il Kosovo, regione della ex Jugoslavia. Per la verità prima andò in Macedonia, in un campo profughi in cui venivano mandate, o arrivavano di loro spontanea volontà, magari per cercare protezione oltre che tranquillità e pasti non precari, le vittime della guerra. Nel ‘99 si è spostata in Kosovo.

Ma la storia della vita solidale di Cristina ha radici più profonde. Il primo impulso scatta nel 1996, quando il terremoto colpisce l’Umbria. E la ragazza ronconese sente il bisogno di dare una mano ai connazionali cui le scosse hanno portato via le case e gli affetti. È in Umbria che incontra don Lucio, sacerdote che fa riferimento alla Caritas e che le parla dei progetti per la ex Jugoslavia.

Così Cristina, dopo il soggiorno in Macedonia, arriva nel 1999 in Kosovo: a Klina, centro a qualche decina di chilometri da Pristina. Lei ed il marito Massimo all’inizio ospitano nella casa avuta in comodato gratuito da un abitante del luogo, emigrato in Svizzera per lavoro, una cinquantina di bambini (una ventina sotto i cinque anni) e ragazzi, figli della povertà e orfani della guerra che ha insanguinato quelle terre negli anni Novanta, quando si ha il dissolvimento della Jugoslavia.
Ad un certo punto, otto anni fa, l’emigrato decise di tornare e, com’era nei patti, volle avere indietro la casa.

Allora partì dagli amici delle Giudicarie una gara di solidarietà per costruire una casa. Furono raccolti soldi, ma soprattutto materiale con l’obiettivo di non far cadere il progetto di solidarietà verso quei giovani bisognosi e quelle povere comunità.

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