Genitori-sport, rapporto complicato Parola di Ghedina, Cagnotto e Pomilio

Tre icone dello sport a raccontare il rapporto fra atleti, allenatori, genitori e territorio. È stata questa la trama del convegno «Un solo cuore che batte – N soul cher che bat» organizzato dall’Unione di Ladins de Fascia, dal Comitato Mondiali Val di Fassa 2019, dall’Università di Trento e dal Panathlon Club Trento, che ha avuto luogo presso il nuovo Paladolomites di Campestrin di Fassa, seguito da tanti appassionati di sport. I campioni dello sci Kristian Ghedina, di tuffi Giorgio Cagnotto e di pallanuoto Amedeo Pomilio hanno raccontato anzitutto la propria relazione con i genitori nel periodo in cui erano giovani praticanti, con sfumature diverse: Kristian ha perso la madre e il padre era contrario alla sua scelta di dedicarsi all’attività agonistica; Giorgio è stato influenzato nel proprio percorso dallo zio ex atleta; infine Amedeo ha dovuto fare i conti con la figura ingombrante del padre, che aveva un ruolo importante nel mondo della pallanuoto.
Nel corso della serata sono emersi particolari e aneddoti curiosi, relativi all’esperienza dei tre campioni in veste di allenatori, con una lunga riflessione su come in cinquant’anni sia cambiato il ruolo del genitore: un tempo disinteressato, attualmente eccessivamente pretenzioso e in talune occasioni fin troppo ingombrante e inefficace per la crescita dei giovani sportivi.
Stimolante la presenza e l’approfondimento poi del prorettore con delega per lo sport dell’Università di Trento Paolo Bouquet, che ha parlato anche del Progetto Dual Career Top Sport, primo ed unico in Italia rivolto ai migliori atleti per consentire di studiare e conseguire una laurea. Un programma ideato nel 2011 con la collaborazione di Filippo Bazzanella, project manager proprio dei Mondiali Junior Val di Fassa 2019, e attivato con l’aiuto della campionessa olimpica Antonella Belluti.
Ad introdurre e ad animare la seconda parte della serata sono intervenuti anche il presidente dell’Union dei Ladins Ferdinando Brunel, il sindaco del comune di Mazzin di Fassa Nicoletta Dallago, l’assessore allo sport del Comun General de Fascia Matteo Iori, la Sorastant della Scuola Ladina di Fassa Mirella Florian portatrice di esperienze a tutti i livelli scolastici, compreso il coordinamento dello Ski & Ice College Val di Fassa, il presidente del Coni trentino Paola Mora e il presidente del Panathlon Club Trento Giuseppe De Angelis.
In apertura il discesista Kristian Ghedina non ha mancato di ricordare la propria unica e indimenticabile esperienza ai Campionati Mondiali Junior, con la solita verve, che ha strappato sorrisi e applausi: «Era il 1987 e nella località norvegese di Hemsedal arrivai con importanti aspettative, visto che ero stato inserito nella squadra nazionale. Detenevo il miglior tempo fino all’ultimo intermedio, poi ho commesso un errore perdendo centesimi preziosi, chiudendo con il sesto tempo. Un risultato che mi innervosì parecchio, perché venni battuto dal compagno di squadra Roger Pramotton (quarto). Superato da un gigantista. Iniziamo bene la carriera, pensai fa me e me». Fra l’altro in quella gara gareggiava anche il fassano Stefano Costazza, ora tecnico della nazionale, che arrivò decimo.
Amedeo Pomilio ha evidenziato come in Italia ci sia troppa fretta di arrivare, spesso danneggiando i ragazzi: «Fino a 15-16 anni mentalmente i ragazzi non sono pronti per reggere le pressioni imposte da un agonismo esasperato e si rischia di ottenere il risultato contrario. I genitori e talvolta gli allenatori, per interessi personali, non riescono ad essere equilibrati. Fino a questa età bisogna puntare sull’attività sportiva con l’obiettivo di una crescita costante con l’imperativo del divertimento».
Giorgio Cagnotto si è soffermato sul ruolo dell’allenatore, che è pure educatore: «Il tuffatore Maicol Verzotto spesso mi sottolinea come passi più tempo con me che con suo padre. In quest’ottica l’allenatore ha un ruolo strategico nella crescita di un ragazzo e proprio il tecnico può riuscire a persuaderlo a fare cose che un genitore non riuscirebbe mai ad imporre. Un padre o una madre dovrebbero diventare complice e suggeritore dell’allenatore per il bene del giovane atleta, invece troppo spesso ambiscono a sostituirsi al coach, creando pressioni inutili e controproducenti».

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