«In tabaccheria entrano cani e porci» Insulta l'avvocato e ora deve risarcire

di Flavia Pedrini

«Fai entrare cani e porci». Sarà capitato a tutti di sentire questa battuta. E magari qualcuno se l’è lasciata pure scappare. Ma chi pensa di ricorrere ad un simile sfottò farà meglio a mordersi la lingua, perché una battuta di questo genere può costare davvero cara.

Ne sa qualcosa un professionista della val di Fassa, che dovrà risarcire l’avvocato al quale era diretta questa frase, pronunciata alla presenza del titolare di una tabaccheria nella quale stava entrando.

Il giudice di pace di Cavalese, infatti - rilevando che «l’onore e la reputazione costituiscono diritti inviolabili della persona» - lo ha condannato a risarcire il legale con 2000 euro e pagare le spese, liquidate in 650 euro. Ma la battaglia non è finita, visto che la controparte ha presentato appello.

La vicenda finita sul tavolo del giudice di pace risale al settembre 2015. Oggetto della frase ingiuriosa l’avvocato Luca Maria Conti, che ha lo studio a Tesero e Milano. A pronunciarla, come detto, un professionista della valle.

«È stata una mia controparte in una serie di contenziosi - spiega - C’erano già stati dei precedenti di tenore inferiore, visto che, per esempio, si rivolgeva a me senza riconoscermi il titolo di avvocato. Ma ho sempre lasciato perdere».

Quel giorno, però, per l’avvocato si è passato il segno. «Stavo entrando in una tabaccheria - racconta - Lo avevo scorto già mentre scendevo dalla macchina e, siccome so che tende a provocare, ho attaccato il registratore.

Non ho fatto in tempo ad entrare che, ad alta voce, rivolgendosi al titolare che era sull’uscio, ha detto: “Ma fai entrare cani e porci nel tuo negozio?”».

Che l’epiteto fosse rivolto all’avvocato Conti pare fuori dubbio: «Non c’erano altre persone presenti e, peraltro, il fatto non è stato mai contestato».

A quel punto l’avvocato ha sporto denuncia in Procura, ma nel frattempo il reato di ingiuria è stato abrogato e, dunque, il fascicolo è finito in archivio. Il legale ha dunque deciso di coltivare la causa civile davanti al giudice di pace, dove ha chiesto i danni (la richiesta risarcitoria era di 2.500 euro).

Agli atti del processo è finita anche la corrispondenza tra la parte offesa e il professionista, dalla quale emergerebbe che - già in passato - l’uomo aveva cercato di svilire la professionalità del legale.

Il professionista, come detto, non ha contestato i fatti, ma si è difeso in aula sostenendo che l’espressione - benché infelice - non fosse meritevole di un risarcimento. Una tesi che il giudice di pace Antonio Orpello non ha però condiviso.

«Non vi è dubbio che, nel caso di specie, si è realizzata una evidente violazione dei diritti della persona, quali l’onore, il decoro e la reputazione, che rendono indispensabile una reintegra, sia pure solo simbolica, per responsabilizzare il responsabile, al fine di prevenire il ripetersi di condotte simili, che limitano la civiltà e il progresso».

Inoltre, citando la Cassazione, ha ritenuto che «l’onore e la reputazione costituiscono diritti inviolabili della persona, la cui lesione fa sorgere in capo all’offeso il diritto al risarcimento del danno, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo integri o meno un reato».

Tanto più, evidenzia il giudice, che l’imputato non si nemmeno è scusato. Da qui la condanna a pagare 2000 euro di danni, di cui 500 per responsabilità aggravata per avere resistito, più le spese.

comments powered by Disqus