«Con il lupo economia a rischio»

di Stefania Monsorno

Il Palafiemme si riempie per il lupo. Che il tema sia caldo lo hanno dimostrato i tanti ascoltatori rimasti in piedi, nonostante l’aggiunta di nuove file di sedie dell’ultimo momento.

Nel pubblico non solo allevatori, ma anche amministratori locali, operatori turistici e forestali e persone comuni, amanti dei boschi e delle passeggiate. All’incontro del 13 ottobre organizzato da Magnifica Comunità di Fiemme e Comunità Territoriale sul tema «Il ritorno del lupo in Val di Fiemme» sono intervenuti lo scario della Magnifica Comunità di Fiemme, Giacomo Boninsegna, Claudio Groff del Servizio foreste e fauna della Provincia di Trento, l’assessore provinciale alle infrastrutture e all’ambiente Mauro Gilmozzi, l’onorevole europarlamentare Herbert Dorfmann e l’assessore provinciale all’agricoltura, foreste, caccia e pesca Michele Dallapiccola, moderati da Mario Felicetti.

Tutti d’accordo: il lupo è un pericolo per l’alpeggio e per la zootecnia alpina delle nostre valli, mette a rischio tutta quell’economia che contraddistingue e determina la zona alpina e la sua presenza deve essere controllata e limitata. Il lupo sta autonomamente tornando sulle Alpi e la sua presenza è sempre più massiccia e impattante. «La causa - come ha spiegato, dati alla mano, Groff - è da attribuirsi alla ricomparsa, a partire dagli anni ‘70, dei grossi ungulati, principale fonte di sostentamento di questi predatori».

Nel 2016 il censimento ha registrato circa 2.000 esemplari noti sull’Appennino e quasi 300 nell’arco alpino, inclusi i territori di Fiemme e Fassa, dove è stata accertata la presenza di una coppia adulta. I lupi sono predatori endemici dall’eccezionale adattabilità e il loro numero è destinato a duplicarsi nel giro di tre anni. I danni arrecati agli allevatori dovuti alle incursioni del carnivoro, allo scorso settembre erano di 30.000 euro, non contando i danni di tipo emozionale impossibili da risarcire.

La situazione è drammatica, ha convenuto Dallapiccola. «L’ambiente alpino - ha detto un Gilmozzi molto applaudito - è un paesaggio fortemente modificato dall’uomo, reso tale dal pascolo e dall’economia alpina. Per questo è necessario affrontare la questione in termini politici e culturali, tenendo conto di quella che è la tradizione e la vera natura dei nostri territori. Solo così si potrà scrivere una normativa in grado di dare risposte concrete».
L’europarlamentare Dorfmann ha individuato due priorità.

«Prima di tutto - ha detto - c’è bisogno di una normativa più flessibile a livello europeo e poi bisognerà che gli Stati membri mettano in atto manovre di controllo intelligenti e serie. Infatti in Italia - ha proseguito - la situazione è ulteriormente complicata dalle linee ambientaliste che al governo centrale rappresentano una maggioranza». I limiti del confronto sul piano nazionale sono stati evidenziati anche dall’assessore Dallapiccola, che non fa promesse: «Trovare una soluzione non è facile e se dicessi che riusciremo a mettere tutto lo Stivale dalla nostra parte e chiudere la questione vi prenderei in giro».

Insomma, nonostante sia stata auspicata una politica di contenimento, le preoccupazioni espresse dallo scario, dal presidente della Comunità di valle Giovanni Zanon e dal presidente della società Malghe e Pascoli di Predazzo, Ivo Mich, restano. La prossima primavera molti allevatori, a cui è stato temporaneamente richiesto di difendersi con cani e le recinzioni elettriche, potrebbero scegliere di non portare i capi all’alpeggio e di rimanere sul fondovalle, con tutti i disagi che questo comporta, anche a livello turistico.

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