Belluno, una marcia «per salvare i torrenti» Anche gli autonomisti contro il boom di dighe

Nuova manifestazione, domenica, a Belluno, per chiedere alla Regione Veneto un’inversione di rotta nella politica permissiva che ha favorito la costruzione di una miriade di impianti idroelettrici nel 90% dei corsi d’acqua della provincia dolomitica.

Nuova manifestazione, domenica, a Belluno, per chiedere alla Regione Veneto un’inversione di rotta nella politica permissiva che ha favorito la costruzione di una miriade di impianti idroelettrici nel 90% dei corsi d’acqua della provincia dolomitica.
Il Comitato bellunese acqua bene comune invita a una marcia sul colle del Nevegal domenica 13 dicembre (ritrovo alle 9 nel piazzale), per camminare verso le cime del Visentin che chiudono a meridione il territorio bellunese e lanciare da lassù un nuovo messaggio rivolto al potere che risiede in laguna, sordo alle esigenze dell’area alpina.

Si chiede, in particolare, una moratoria sulle cementificazioni degli alvei per le derivazioni a scopo idrolettrico, che - denuncia il Comitato -  hanno un peso irrisorio nel quadro energetico nazionale (per produrre più energia basterebbe migliorare le grandi centrali storiche) ma sono un comodo business privato grazie ai forti incentivi statali (pagati dai cittadini nella bolletta).

Inoltre, gli impianti rappresentano una grave criticità ambientale (devastante per l’ecosistema la sommatoria del reticolo di interventi su fiumi e torrenti) ma anche sociale e economica, perché danneggia le attività locali, specie il turismo che vive anche grazie alla floridità di corsi d’acqua e laghi (già prosciugati peraltro dall’utilizzo pesante a scopi irrigui, per la pianura veneta).

La mobilitazione popolare, che registra una forte e variegata partecipazione, è stata rilanciata nelle ultime settimane con la campagna «Adesso basta centrali» e si intreccia, fra l’altro, con una vicenda divenuta simbolica: il progetto di una impresa sudtirolese di tre dighe ravvicinate sul Piave, in un tratto di una dozzina di chilometri, nei comuni di Belluno (proprio davanti al centro storico), Ponte nelle Alpi e Limana, tutti e tre già pronunciatisi contro questi impianti (ma a decidere è sempre Venezia).

Oggi è arrivata l’adesione alla campagna e alla manifestazione di domenica anche da parte degli autonomisti bellunesi del Bard, che nella nota stampa diffusa in proposito elencano anche una serie di altre criticità territoriali riconducibili alla crescente debolezza istituzionale del Bellunese, ormai spogliato anche di una Provincia ordinaria eletta dai cittadini.
Da qui il rilancio dell’impegno collettivo per esigere un assetto istituzionale più forte, maggiore potere locale, al fine di tutelare i beni comuni e mettersi nelle condizioni di poter fermare iniziative che minacciano le comunità alpine bellunesi.

La questione idroelettrico ultimamente è salita di tono anche in trentino, con l'aumento delle autorizzazione richieste in Provincia e con una mobilitazione sia nei Comuni sia fra i cittadini, per esempio in relazione alla diga progettata sull'Adige poco a nord di Rovereto, alle cinque derivazioni richieste per il torrente Arnò, agli impianti sul Noce e in Primiero.

Ecco il comunicato stampa degli autonomisti bellunesi.

Il movimento Belluno autonoma Regione Dolomiti (Bard) aderisce con convinzione alla campagna Abc  #AdessoBastaCentrali e alla Camminata in difesa delle acque e del territorio bellunese in programma domenica 13 dicembre sul Nevegal.

Quando analizziamo le numerose criticità e le emergenze nella nostra provincia non possiamo che mettere fra le priorità il drammatico fenomeno dell’ipersfruttamento idroelettrico dei corsi d’acqua, un business indotto dagli incentivi statali e incoraggiato dalle autorizzazioni "facili" rilasciate dalla Regione Veneto.

In questo come in altri contesti, il nostro territorio alpino soffre in modo particolare per le gravi condizioni di debolezza istituzionale e decisionale in cui è stato messo dalle scelte delle classi dirigenti, in particolare in Regione e a Roma, ma con responsabilità anche di larga parte della politica locale che non ha saputo costruire strategie vincenti per evitare il crescente impoverimento delle nostre vallate, la sottrazione di potere alla nostra comunità dolomitica e le conseguenti forma diverse di colonizzazione in atto (oltre alla miriade di progetti idroelettrici abbiamo, per esempio, l’arrivo di imprese agricole che esportano a Belluno i modelli intensivi e chimici utilizzati e già oggetto di contestazioni popolari nei luoghi di provenienza, ossia il Trevigiano o il Trentino).

Malgrado il nostro movimento e altri soggetti organizzati cerchino in ogni modo di opporsi a questo pericoloso declino e di disegnare un progetto sul quale confrontarci tutti assieme per invertire questa tendenza nefasta, il quadro in questi ultimi anni si è fatto via via sempre più deprimente. Al punto che a volte viene il sospetto che Venezia e Roma intendano chiudere per sfinimento la partita con i bellunesi.

Ma noi non ci arrendiamo, il 13 dicembre marceremo per esigere una politica serie per la tutela dei nostri corsi d’acqua, per smascherare un’altra volta i giochi di chi asseconda e incoraggia i predatori delle risorse dei nostri territori.

Marceremo, però, anche avendo ben presente che esistono molte altre criticità da affrontare con la forza delle persone, delle associazioni, dei gruppi, di chi vuole il bene del nostro territorio.

Un servizio ferroviario che da anni non fa che peggiorare penalizzando i nostri cittadini e indebolendo il tessuto economico e sociale bellunese; un sistema sanitario sottoposto alla omologazione voluta dalla Regione Veneto che come sempre ragiona con gli occhi della pianura, ignorando le caratteristiche orografiche, climatiche, geografiche che richiedono politiche adeguate alle esigenze di una minoranza sociale alpina; un’agricoltura che deve difendersi dal tentativo organizzato e sovvenzionato dal governo regionale (vedi l’estensione della Doc del prosecco) di ridurla a una dependance di un modello industriale che, oltre a presentare vari rischi ambientali e sanitari, non risponde alle esigenze di una terra di montagna; un turismo abbandonato a se stesso, con una promozione frammentata e indistinguibile nel calderone veneto che privilegia spiagge e mare; le crescenti difficoltà a reggere il confronto economico con le vicine province che possono godere dello statuto di autonomia speciale; una lunga serie di servizi fondamentali per le nostre comunità, specie per le vallate più decentrate, che sono a rischio o già spariti; lo spopolamento delle terre alte e una prospettiva di concentrazione demografica crescente nella parte meridionale della provincia, scenario forse gradito in laguna, per trasformare l’arco dolomitico in un semplice luna-park della pianura veneta.

A questo quadro inquietante noi siamo convinti che bisogna rispondere con un serio disegno istituzionale, sostenuto da una vasta coalizione sociale e politica.

Ne va veramente del presente e del futuro delle nostre vite, quassù, fra i monti.

Lo spirito della nostra adesione è, dunque, anche legato all’idea che le forze sociali consapevoli delle emergenze del territorio si confrontino anche sul percorso necessario per costruire insieme un progetto ambizioso di riforma istituzionale, per condividere una rinascita basata sulla riconquista e sulla estensione del potere decisionale localmente disponibile, che dovrà essere ceduto dalla Regione e dallo Stato centrale.

Le nostre genti sono in grado di camminare unite sul sentiero dei beni comuni e del benessere diffuso e condiviso quassù, fra le montagne, come dimostrano le nette prese di posizione contro gli impianti idroelettrici sul Piave assunte dai municipi di Ponte nelle Alpi, Belluno e Limana. Prese di posizione, però, sostanzialmente prive di potere, perché - in questa come in mille altre vicende - a decidere è Venezia.

Ecco, la nostra proposta è che a decidere sia Belluno, in una prospettiva di trasferimento di poteri al nostro territorio di montagna, fino a svincolarlo dall’asservimento alla Regione Veneto, dove il peso specifico dell’area alpina è pressoché nullo.

La nostra proposta è di confrontarci e di camminare tutti insieme. Per il bene comune.

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