La vera parlata torbolana nel libro "Né òra né vènt"

di Vittorio Colombo

Nel presentare il libro dei fratelli Martinelli (Ferdinando, Tiziano e Oreste), «Né òra né vènt», uno degli autori ha detto, indicando una foto di Torbole con una barca a vela sulle schermo: «In quella barca a vela c’è un vogatore al remo (Attilio Fava); vuol dire che in quel momento a Torbole No’ gh’èra né òra né vènt».
«E “òra” e “vènt” - come spiega Ferdinando - sono le parole dialettali di gran lunga più usate per un secolo a Torbole dove la vita scorreva con i riti e i ritmi della pesca dato che tutti i torbolani erano pescatori».
Si ricollega poi anche al detto assai popolare «No te capisi ne òra né vènt» (non capisci proprio niente).  
Il libro, edito a cura del Gruppo culturale Nago-Torbole, recupera il lessico di Torbole e racconta, attraverso il recupero dei termini dialettali e dei modi di dire, un secolo di vita nel borgo gardesano (1872-1970) ed è bello e particolare per diverse ragioni. C’è anzitutto l’aspetto sentimentale. Dei tre fratelli Martinelli solo Fernando, classe 1934, il maggiore, vive a Torbole, mentre Tiziano vive a Bologna e Oreste a Verona. Si ritrovano a Torbole l’estate. Due anni fa, sull’onda dei ricordi condivisi, hanno concepito l’idea di un libro che servisse a fissare i termini di un mondo che è andava scomparendo.
«Oggi - considera Ferdinando - moltissimi di questi termini non sono più conosciuti ed il rischio è che con le nuove generazioni tutto quel mondo, che è il ritratto di una cultura, di una economia, di una identità, vada disperso. Eppure sono passati pochi decenni e questo mondo rimane solo negli occhi dei nonni».
La pubblicazione è così un assemblaggio dei modi di dire, delle tradizioni, delle difficoltà di un’economia di sopravvivenza, della quotidianità.
Nel titolo è sintetizzata la vita di tutti i giorni dei Torbolani: «né òra, né vènt» ossia il «pià lac», la bonaccia. Torbole cadenzava le giornate sui due venti periodici: al mattino presto c’è il vento di tramontana, «el vent paesam», che spira da nord e, calato el vent, dopo qualche ora subentra l’òra, che spira da sud: questi due venti sono la fonte energetica che permetteva alla povera comunità di Torbole di sopravvivere. Infatti a seconda dei venti veniva programmata la pesca e con i barconi veniva attivato il commercio con i paesi del sud del lago. «El pià lac» era quindi una calamità, rara e che dura una qualche giornata ma che costringeva ad una sospensione delle principali attività.
Questo modo di vivere aveva chiaramente una ricaduta sulla parlata locale in quanto improntata sulla vita di tutti i giorni e sugli attrezzi con i quali i torbolani operavano proprio nella loro quotidianità.
Poi va considerato che quello di Torbole è un dialetto intimamente legato al paese, tanto è vero che si discosta profondamente da quello di Nago dove vigeva una economia legata alla montagna, come dimostra il detto «Torbolani pesateri, Naghesi boaseri».

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