Dro, base jumper muore dopo il lancio dal Becco dell'Aquila

Un base jumper tedesco è morto dopo essersi lanciato dal monte Brenno a Dro. Si tratta della prima vittima del 2015 e subito si riapre la polemica sulla facilità con cui anche atleti poco esperti possono affrontare le difficoltà del lancio dal Becco dell'Aquila.

di Claudio Chiarani

Meno di un secondo. Quello che a duecento chilometri all'ora ti fa precipitare per cinquanta metri. Un secondo di troppo è quello che è costato la vita a Sebastian Müller, venticinquenne tedesco e diciassettesima vittima sul Brento dal 2000 ad oggi del Base Jump, sport estremo che ieri ha reclamato la sua prima vita del 2015.
Ventiquattr'ore prima era andata di lusso al jumper Oleg Povarin, cinquantunenne russo rimasto appeso nel diedro della via Scudo, sotto la costa del Monte Anglone e recuperato ferito, grave ma vivo, dal soccorso alpino di Trento con l'ausilio dell'elicottero. Mezzo che ieri, purtroppo nulla ha potuto per salvare la vita del giovane tedesco, giunto sul Brento con soli dieci salti di Base alle spalle da un ponte in Austria, dove con la scuola «Pressurized» aveva frequentato il corso«First Jump Course».
Müller era al suo terzo salto dalla parete Zebrata, uno dei luoghi più ambiti al mondo dai Base Jumper, oggi diventata vera e propria «mecca» degli appassionati di tutto il mondo. Venezuelani, russi, spagnoli, inglesi, americani, da tutto il mondo quotidianamente arrivano, sostano e saltano. Senza regole ormai, perché arrivare in decollo è troppo facile, come racconta a parte il decano locale Maurizio Di Palma.
L'ipotesi sull'incidente più veritiera possibile, perché nessuno ha visto quando lo sfortunato paracadutista ha impattato col suolo al termine dello zoccolo della parete zebrata, 800 metri dopo l'exit dal Becco dell'Aquila, è che abbia azionato la maniglia del paracadute quando ormai era troppo basso. Ha saltato verso le 11, senza tuta alare, lo speciale indumento che permette ai jumper di andare in «deriva» dopo il salto iniziale, ossia percorrere circa 3 metri in orizzontale per 1 in verticale di caduta, e dalla testimonianza di un jumper inglese che l'ha fatto dopo di lui, sulla parete incombeva un po' di condensa, quella che si forma in piccole nuvolette quando il sole inizia a scaldare la roccia, e forse questo gli ha fatto perdere la cognizione dell'altezza e probabilmente anche un po' di visibilità. Un'ipotesi suffragata dal fatto che le funi del paracadute erano tutte esterne alla sacca di contenimento, dunque aveva azionato la maniglia ma troppo tardi rispetto alla quota in cui si trovava in quel momento. Il paracadute non ha fatto in tempo a spiegarsi e sostentare poi in volo il jumper. Disattenzione? Inesperienza? «Con 10 salti non ci si lancia dal Brento - sbotta Maurizio Di Palma - ma ormai qui tutto va per conto suo. Adesso se non ci si siede con la politica attorno ad un tavolo e si fissano regole precise sono io il primo, che di questo sport ha deciso di viverci, non morirci, viverci ripeto, chiederò di chiudere il salto. Perché si è atteso troppo».
Le operazioni di soccorso sono terminate attorno alle 3 di pomeriggio, la salma è stata trovata sul ghiaione ai piedi della parete, dopo un'ora e mezza di ricerche da parte degli uomini del soccorso alpino, e successivamente elitrasportata a Trento. In loco anche vigili del fuoco e il maresciallo Vasco Degasperi dei Carabinieri per le tristi formalità di rito. Un falso allarme martedì, un incidente mercoledì e il fatale giovedì, un tris decisamente di troppo che deve far riflettere.

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