Merano, 20 anni fa l'incubo del serial killer Gamper

di Stefan Wallisch

Vent’anni fa il serial killer di Merano colpì per la prima volta. Per quasi un mese tenne in ostaggio la cittadina termale, lasciando una lunga scia di sangue e di morte. Il primo marzo del 1996, dopo sei omicidi, Ferdinand Gamper si suicidò nel suo maso, sopra Riffiano, ormai assediato dalle forze dell’ordine. «In quei giorni la tensione si tagliava col coltello», si ricorda Cuno Tarfusser, all’epoca pm della procura di Bolzano e oggi giudice della Corte penale internazionale dell’Aia.

Di sera - mentre gli italiani erano seduti davanti alla tv per seguire il Festival di Sanremo, divisi tra sostenitori del duetto Ron-Tosca e di un giovanissimo Elio e le Storie Tese - Gamper scese in città con un piccolo fucile da bracconiere ed uccise senza apparente motivo delle persone. Anche il fatto che non ci fosse un chiaro legame tra un delitto e l’altro rese molto difficile l’inchiesta. «Col senno di poi tutto è più comprensibile, ma in quei giorni la pressione sugli investigatori fu davvero enorme», raccont

a Tarfusser. «Avevamo tutti gli occhi puntati su di noi: i cittadini, i media, il ministero. È stata una situazione estrema, raramente vissuta in Alto Adige, né prima né dopo», aggiunge.

Gamper colpì per la prima volta l’8 febbraio, freddando sulle Passeggiate d’Inverno, in pieno centro storico, il banchiere tedesco Hans Otto Detmering e Clorinda Cecchetti. Il 14 febbraio fu trovato morto nel cortile del suo modesto maso Umberto Marchioro. Il 27 febbraio il serial killer scelse un’altra coppia e uccise con un colpo di fucile calibro 22 Paolo Vecchiolini, mentre sua fidanza riuscì a scappare. Il primo marzo poi il tragico finale: Gamper uccise prima il suo vicino di casa Tullio Melchiori e poi il maresciallo dei carabinieri Guerrino Botte che, dopo una segnalazione, si era presentato alla sua porta di casa. Ormai assediato, diede fuoco al suo maso e si sparò.

A spingere il serial killer a compiere i delitti, sarebbe stato un forte disagio mentale e sociale e un odio smisurato verso gli italiani. Per il direttore della Caritas altoatesina Paolo Valente, «ieri come oggi - per quanto si siano compiuti grandi passi in avanti - ci sono persone, partiti, movimenti che fomentano la divisione, il pregiudizio e l’odio». «I seminatori di odio, per fortuna, sono una minoranza. Ma sono un’erba cattiva che va estirpata», aggiunge Valente in un corsivo del settimanale diocesano Il Segno.

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