Aurora Bonafini ingegnere in campo

di Nicola Baldo

Il conto alla rovescia per Aurora Bonafini è partito. L’obiettivo è semplice ma importante, tagliare il nastro della laurea in ingegneria nel giro di un anno, nel 2020. Giusto così, dopotutto un palleggiatore è già un ingegnere anche in campo. Un costruttore di gioco, un architetto in campo.

«Il palleggiatore lo vedo più come un ingegnere che come un architetto - racconta Aurora Bonafini, alzatrice dell’Argentario di serie B1 femminile - magari è una associazione che vedo solamente io. Ma vedo tante affinità nel ruolo di “costruttore”, che sia un ingegnere nella vita o un palleggiatore nella pallavolo. Laurearmi è, in questo momento, la priorità. Ho avuto la fortuna di vivere esperienze indimenticabili in A2 ma ora voglio mettere davanti a tutto lo studio e se posso farlo coniugandolo con il volley di serie B, che è sempre un ottimo livello, ben venga».

Ruolo sempre delicato quello del regista: quali sono le tre qualità che un buon alzatore deve avere?

«Moretti, il nostro allenatore, mi dice sempre che un buon palleggiatore deve avere testa, mani e piedi. Io solitamente rispondo “Meno male che non ci sono solamente le mani... perché io ho solo le altre due”. Io credo che un buon palleggiatore debba soprattutto riuscire a far girare al meglio la propria squadra e i suoi attaccanti. Se una squadra si esprime in un certo modo allora ha un palleggiatore di un certo tipo. Per forza di cose l’andamento della gara è fortemente indirizzato da questo ruolo».

Aurora Bonafini che tipo di palleggiatrice è?

«Sono una che, quando perdiamo, cerca sempre di capire perché non sono riuscita a mettere i miei attaccanti nelle condizioni migliori di attaccare. Le risposte poi possono essere diverse, ma il palleggiatore è lo strumento che la squadra ha per girare al meglio».

Se poi la palleggiatrice, come nel suo caso, fa pure 9 ace in una partita importante, meglio ancora.

«Quella di sabato è stata sicuramente una cosa particolare, ma l’importante è stata la vittoria della squadra. Perché ci voleva davvero una vittoria. Serviva un risultato positivo per il morale, la fiducia e anche per la classifica. Non sono eccessivamente preoccupata, però un’occhiata alla classifica la diamo...».

Sempre tante giovani in casa Argentario ma lei e Pucnik siete i punti fermi d’esperienza.

«A me piace un sacco lavorare con le più piccole. Poterle anche aiutare e trasmettere le mie esperienze a loro, in modo tale che possano anche imparare dai miei errori ed affrontare le partite nel modo giusto. Ed è bello con le giovani perché vedi poi i risultati in palestra, è una bella gratificazione vedere la loro crescita. Pallavolistica e non».

Risposta molto da futura allenatrice del settore giovanile...

«Ecco, futura. Non adesso. Ancora non riesco a vedermi nel ruolo di allenatrice. Sono una di quelle a cui viene male se non gioco... o posso aiutare le giovani così, ovvero in campo, oppure per adesso altro non posso fare. Ci sarà tempo più avanti per allenare, ora voglio giocare».

Argentario che cambia tanto, inserisce tante giovani, con la salvezza come obiettivo ormai vicino.

«Abbiamo la fortuna di avere in organico alcune ragazze intercambiabili, che possono coprire più di un ruolo e questo ci permette di cambiare pelle in base alle necessità. Tolte le prime due, Vicenza e Talmassons, fra tutte le altre squadre non c’è questa grande differenza. E questo rende la corsa alla salvezza ancora più divertente ed interessante».

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