Il Trap telecronista e la visione a 190° aspettando il «non dire gatto...»

E ora come farà l’Auditel ad analizzare i dati dello share? Sugli ascolti della nazionale - 6.3 milioni anche per la fiacca serata con Malta, primato col 28,6% -  incombe infatti la variante Trap, un telecronista dalla «visione a 190», come dice lui stesso: le sue metafore hanno senza dubbio tenuto incollati gli spettatori al video, più del compassato passo di Pirlo o delle sportellate di Pellè

Allenatore-telecronista, a 76 anni Giovanni Trapattoni vive una terza giovinezza. Quello di ieri è stato un debutto assoluto come voce tecnica della telecronaca Rai. «Mi stupisco di tutto questo stupore. E anche dei complimenti», dice il giorno dopo all’Ansa mentre sui social ci si divide sui suoi meriti e i suoi errori, come quando lui fischiava dalla panchina. Trap sì Trap no, il trionfo del nazionalpopolare.

«Forse non pensavano che fossi capace, ma io lo sapevo, anche senza essere un megalomane. Quel lavoro lì lo facevo già con le mie squadre, negli ultimi anni: analizzavo i video, poi li riproponevo col commento ai giocatori per capire gli errori.
Ecco, quel che dicevo ai miei ragazzi ora lo dico agli italiani: i possibili cambi, le soluzioni, le alternative...Come allenatore, sono avvantaggiato: guardo la partita e ho una visione a 190 gradi...».

Dallo spogliatoio o dalla panchina al microfono e alla diretta, il passo è breve, assicura Trap. «Cosa volevo dire quando parlavo di giocate angolari? Ora imitano tutti il Barcellona, 40 tocchi per arrivare in porta. Ma se non hai Messi, che lo fai a fare?...Meglio quando Pellè o Eder si smarcavano verso l’angolo per un passaggio in profondità».

Al gol di Pellè ha avuto anche lui bisogno della moviola, «perchè mica era come Henry contro la mia Irlanda, quello si capiva subito», e rispunta l’allenatore che non smette mai. «Io mi sento ancora un tecnico: ho rifiutato un paio di proposte troppo lontane, ma in Rai lo sanno, se arriva l’occasione giusta...». Perché per dirla col Trap, goccia dopo goccia la spugna si impregna e l’acqua cade. «Ma sì, anche quello era un modo di dire che usavo con i miei giocatori - ricorda l’ex ct della nazionale - Si sa, sono famoso per i miei strafalcioni o le mie metafore; parlo così, diretto, e mi faccio capire. Era un modo per dire che da qualche buco il ragno deve pur uscire...». E di sicuro, se ce ne sarà l’occasione, «un bel "non dire gatto..." lo dico», assicura Trap. L’Auditel non aspetta altro.

 

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