Alessandro Degasperi nel tempio del triathlon

Il racconto dell'ironman della Val di Fiemme

di Maurilio Barozzi

Le rilassate immagini delle Hawaii, dei suoi colori sgargianti e dell'acqua che sciaborda sotto le tavole da surf possono essere ingannevoli se si è proiettati all'altro momento cardinale della vita dell'isola: il frenetico ironman world championship.

Ironman significa uomo d'acciaio e mai parola è stata più appropriata per definire una gara di oltre otto ore fatta di 3,86 km a nuoto nel mare, di 180,25 km in bicicletta e, alla fine, di una maratona completa: 42,195 km di corsa. Dal 1978 i campionati mondiali di ironman si disputano alle Hawaii e per questa gara - anzi: La gara - l'isola si tira a lustro fino.

Vi arrivano migliaia di triatleti, tutti quelli che sono riusciti a conquistare la qualificazione nel corso dell'anno. Tra i professionisti che si sono aggiudicati il diritto di gareggiare in questa edizione (a inizio ottobre), l'unico italiano è stato Alessandro Degasperi, detto Dega, di Panchià in Val di Fiemme. Il terzo posto all'ironman di Maiorca, il settimo al ironman continentale del Sudafrica, le due ottime prestazioni ai mezzi ironman di Barcellona e ancora Maiorca, più il bronzo all'ironman di Klagenfurt hanno fruttato a Dega il ranking sufficiente per gareggiare a Kailua Kona. E lui ha colto al volo l'occasione: 20° assoluto, su oltre duemila partenti, in 8 ore 36'e 56". Il sogno della vita, l'obiettivo degli ultimi anni, e cioé partecipare alla gara più folle, parossistica, ossessiva del mondo, si è così realizzato. «Ma il prossimo anno voglio tornarci. E per arrivare nei primi dieci» rilancia Degasperi. È nel suo stile.

Il Dega ha 35 anni (quasi 36) di vita ed è triatleta da sempre. «La prima gara l'ho fatta nel 1996. si chiamava Iron kid. Ricordo che con la squadra di Predazzo, la Dolomitica, pre partecipare andammo ai Lidi Ferraresi. Fu un mezzo disastro: sbagliammo strada quasi tutti e tornammo a casa con la coda tra e gambe. Però ci eravamo divertiti. Così, quando mia mamma mi disse "ma che sport fai che non sanno nemmeno segnare i percorsi" io scoppiai a ridere. Ma non desistetti. Anzi: quell'anno poi vinsi quasi tutte le gare del circuito Allievi, compreso il Campionato italiano».

Così mamma ha dovuto mettersela via: Alessandro, che fino a quel momento aveva praticato il calcio, il nuoto, lo sci di fondo e pure quello da discesa aveva preso la sua decisione: il triathlon era il suo sport. Per dieci anni è andato avanti così: la scuola, l'università e gli allenamenti. Ma i risultati non mancavano e così allenarsi può sembrare più semplice. Poi il destino ci ha messo lo zampino. «Nel febbraio del 2007 mi stavo preparando per gli Europei di wintertriathlon (corsa, mtb e sci di fondo) quando mi sono rotto una spalla, legamenti compresi. E così ho dovuto dire addio alle mie chance di qualificarmi per le Olimpiadi di Pechino».

Henry Ford disse una volta che i problemi sono opportunità in abito da lavoro. Ed è ciò che deve aver pensato anche Alessandro. Che, abbandonato il sogno a cinque cerchi, una volta rimessosi in sesto, ha pensato di partecipare a un triathlon più lungo, un 70.3, come viene chiamato oggi: 1,9 km di nuoto, 90 km in bici e 21 a piedi. «Il nuoto pesava di meno nel bilancio complessivo della gara - racconta il Dega -. Visto che l'infortunio mi aveva rallentato in questa disciplina ho pensato che sarebbe stato opportuno provare con questa distanza. Andai a Wiesbaden, al Campionato europeo sulla distanza, e arrivai secondo. Lì capii che la mia strada era quella delle lunghe tratte».

Un infortunio, una nuova carriera ma continuando a fare ciò che ama: lo sport. Per conciliare studio - nel 2006 si è laureato in Economia - e triathlon, Alessandro aveva dovuto imporsi massicce dosi di organizzazione e di autoregolamentazione. Del resto, quando ogni settimana si nuotano 20 km, si pedala per 400 e si corre per altri 70-80 km - oltre ai lavori in palestra, le diete bilanciate, il sonno controllato - l'ordine mentale diventa cruciale. Al mattino presto porta a scuola il figlio Luca, poi due, tre volte la settimana va in palestra, le altre esce in bici. Nel pomeriggio va a correre e la sera, per cinque giorni la settimana, si tuffa in piscina a nuotare con i ragazzi della Dolomitica sotto le direttive del suo preparatore Alberto Bucci. Tra un allenamento e l'altro, una gara in giro per il mondo e l'altra, Dega ha messo su pure una società che si occupa di consulenze sulle sponsorizzazioni sportive. Perché, da buon economista e atleta pianificatore, c'è da pensare anche al futuro. «Il triathlon è uno sport che ti permette di vivere mentre lo pratichi ma non certo di accumulare quanto serve a vivere di rendita» precisa con pignoleria ragionieristica.

Mentre racconta tutto ciò non hai dubbi: studiare Economia e fare triathlon sono stati l'approdo inevitabile per la vita di un uomo che abbina metodo e disciplina in maniera stacanovista, quasi maniacale. A cosa pensi mentre sei in gara, gli chiedo. «A niente in particolare. Cerco di rimanere concentrato sulla gara. Studio i dati del mio cardiofrequenzimetro e del misuratore di potenza e poi calcolo costantemente l'andatura che mi posso permettere: in una gara di triathlon sulle lunghe distanze non puoi improvvisare, né farti prendere dall'entusiasmo. Devi andare sempre alla giusta andatura, né troppo piano, né troppo forte». A questo punto, giusto per farsi un'idea di cosa significhi per lui «né troppo piano, né troppo forte», è opportuno sapere che Alessandro ha corso la maratona finale dell'ironman hawaiano in 2h53'13". Per chi si diletta in queste cose, a circa quattro minuti sul chilometro dopo aver nuotato quasi quattro km e pedalato per 180.

Metodo e ragionamento, tuttavia, lo scorso anno non gli erano bastati per ottenere la qualificazione alla gara di Kailua Kona 2015. E questo nonostante a maggio fosse riuscito a vincere uno degli ironman più prestigiosi d'Europa, quello di Lanzarote. «Quella è stata la gara che ha segnato la mia vita, confermandomi che avevo fatto bene a scegliere la strada delle lunghe distanze» spiega pacato, senza infiammarsi, come un impiegato racconterebbe la sua trecentesima pratica della giornata. Ha dovuto pensarci un po' su per individuare la gara alla quale dichiarare il proprio amore, ma alla fine è arrivata quella: Lanzarote.

«Ripensandoci, da quella vittoria ho anche imparato che per centrare l'obiettivo di staccare il pass per le Hawaii avrei dovuto impostare la stagione in un altro modo. Così lo scorso anno da subito mi sono concentrato sullo scopo e già a settembre del 2015, all'ironman di Maiorca, ho cominciato a raggranellare i primi punti per centrare il risultato». E quest'anno, per non smentirsi, a fine novembre volerà a Cozumel, in Messico, per partecipare a un altro ironman, col dichiarato proposito di cominciare la raccolta dei punti per Kona 2017. Dove ancora si troverà tra le scatole l'asso tedesco Jan Frodeno - campione di triathlon olimpico a Pechino nel 2008 - che ha vinto le ultime due edizioni ed è arrivato terzo due anni fa. Ma con pazienza e dedizione, chissà che un giorno il Dega non riesca anche a fregare Frodeno.

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