Doping di stato, la Russia contro l'ex direttore dei suoi laboratori

All’indomani del verdetto della Iaaf che ha escluso la squadra di atletica russa dai Giochi di Rio, il Comitato investigativo russo annuncia «un’inchiesta penale» contro l’ex direttore del laboratorio antidoping di Mosca Grigory Rodchenkov.

L’accusa è di «abuso d’ufficio», e in particolare di aver distrutto 1.437 test. Sospetti peraltro simili a quelli avanzati nei suoi confronti dalla Wada, l’agenzia antidoping internazionale, secondo cui Rodchenkov avrebbe fatto sparire 1.417 campioni di analisi. I numeri insomma coincidono, o quasi.

Con la differenza che per la Wada quello messo in piedi a Mosca era un sistema di corruzione e doping «sponsorizzato» dallo Stato. Cosa che il Cremlino, ovviamente, smentisce. Il punto è che Rodchenkov, costretto a dimettersi proprio in seguito allo scandalo che ha scosso la federatletica russa lo scorso autunno, non è un ex qualsiasi. Adesso vive a Los Angeles, ed è diventato un informatore chiave per un’altra faccenda che sta facendo tremare Mosca: i presunti casi di «doping di Stato» per decine di atleti russi alle Olimpiadi invernali di Sochi di due anni fa. Le sue accuse, affidate alle pagine del New York Times, sono state bollate dal portavoce di Putin come «le calunnie di un disertore», ma di certo non hanno giocato a favore della riabilitazione dello sport russo.

Ieri la federatletica mondiale (Iaaf) ha deciso di non revocare la sospensione della federatletica russa (Araf) per lo scandalo doping. Una mossa che ha causato malcontento e critiche in tutta la Russia, a partire da Putin, che l’ha definita «ingiusta e iniqua». Da parte sua, l’Araf si è detta «delusa» e ha assicurato che «userà tutti i mezzi legali per far partecipare gli atleti russi ai Giochi Olimpici del 2016». Ma secondo il presidente della Wada, Craig Reedie, il vero problema è che «non c’è stato un cambiamento culturale» in Russia da quando gli atleti del paese più grande del mondo sono stati esclusi dalle competizioni internazionali. Il ministro dello Sport, Vitali Mutko, cerca di metterci una pezza: «Siamo pronti a collaborare», ha dichiarato oggi. Ma ai Giochi di Rio mancano meno di due mesi, e il Cio ha già fatto sapere di «condividere e appoggiare» pienamente la squalifica dei russi. Anzi, ha rincarato la dose sottolineando che «l’ammissione degli atleti a qualsiasi torneo internazionale, comprese le Olimpiadi, è una questione che spetta a ogni singola federazione». Insomma, alla riunione in programma martedì in Svizzera il Cio non lancerà un salvagente alla federatletica di Mosca come qualcuno aveva ipotizzato. L’ultima speranza per i russi è fare ricorso alla Corte arbitrale dello sport di Losanna. Per gli atleti che possono dimostrare di non aver nulla a che fare con il presunto sistema di doping di Stato c’è però anche un’altra possibile ancora di salvezza: gareggiare sotto la bandiera olimpica.

Sempre che così facendo non vengano (ingiustamente) accusati di «tradimento», come ipotizzano alcuni media russi.

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