Mammografia salvavita: ogni anno 28mila esami In Trentino lo screening funziona

di Patrizia Todesco

«Signora, se vuole morire di qualcosa d’altro, faccia la mammografia». La dottoressa Carmine Fantò, barese d’origine ma in servizio all’Apss da 12 anni, da giugno nuova responsabile dell’Unità semplice di Screening mammografico, crede fortemente in questa frase che diceva un suo vecchio collega. «Oggi, grazie a 28 mila mammografie con tomosintesi effettuate ogni anno su donne fra i 50 e 70 anni, riusciamo a intercettare precocemente circa 200 piccoli tumori ancora asintomatici sui circa 500 totali che vengono diagnosticati», spiega la senologa che aggiunge. «Le donne non devono avere paura. È vero che si ammala una donna su 8, ma il 90% guarisce».

La mammografia è un esame dove c’è sempre un margine di rischio di errore nella lettura. Che possibilità ci sono che un tumore non venga visto?

La mammografia evidenzia tumori molto piccoli, segni molto piccoli, ma questi segni devono essere ben presenti nel radiogramma e visuabilizzabili. Solo nel 4% dei casi non lo sono. Ad abbassare ulteriormente questa percentuale c’è la nuova tecnologia, che è la tomosintesi, per cui noi arriviamo anche al 3%. Percentuale che noi abbiamo analizzato per capire quanti di questi tumori non visti erano legati ad un errore umano e quanti a mascheramento del tessuto. Le mammelle non sono tutte uguali. Abbiamo quattro densità di base: in substrati con densità più alta si fa più fatica a vedere, ma la nuova tecnologia consente di bypassare anche questo ostacolo.

E questa densità cambia con l’età?

No, chi nasce con una densità alta porta avanti la sua densità per sempre. Un seno non diventa più "trasparente" con l’avanzare dell’età. Nemmeno protesi e dimensioni del seno sono limiti.

Quanto conta il macchinario che viene utilizzato per effettuare l’esame e l’occhio di chi legge poi le immagini per una diagnosi corretta?

È fondamentale. Lo stesso operatore dedicato che legge 20 mila esami all’anno con un altro apparecchio potrebbe perdere di performance e sensibilità nel leggere. Questo vale per tutte le attrezzature. Le migliori apparecchiature nelle mani giuste possono diventare strumenti potenti.

Le vostre sono le migliori apparecchiature?

Sì, mi sento proprio di dirlo e anche il personale è personale dedicato. Non c’è il radiologo tuttologo in questa struttura, c’è il senologo.

A volte le pazienti si lamentano di ritardi nella lettura delle mammografie. È un problema tutt’ora presente?

C’è un tempo codificato che per le mammografie in 2d che sarebbe di 15 giorni ma siccome noi lo screening lo leggiamo in tomosintesi abbiamo dichiarato 30 giorni. Ci sono state oscillazioni nel tempo legate a deficit di personale. Ora siamo in otto, al completo. Ovviamente i nuovi arrivati non possono leggere screening in quanto devono ancora formarsi. Bisogna aver letto dai 5 mila ai 10 mila esami per potersi considerare “screenisti” e accedere alle prime letture. Il secondo lettore deve avere più di 10 anni di esperienza. Poi c’è anche un revisore, il medico che deve concordare quegli esiti discordanti tra i primi due lettori, e ci vogliono più di 15 anni di esperienza per fare quello.

Capita che le donne, dopo aver effettuato la mammografia, vengano richiamate per degli approfondimenti. Ciò genera solitamente grandi ansie.

Su 28 mila, circa 500 pazienti vengono chiamate al Centro ma questo non vuol dire che abbiano il cancro. Chi viene chiamato, quindi, non deve andare in panico. Quel richiamo potrebbe essere legato alla necessità di una proiezione aggiuntiva o di una visita clinica. Lo screening di primo livello viene effettuato tutto da personale tecnico. Gli esami aggiuntivi possono essere semplici ecografie, ma siamo attrezzati anche per effettuare microbiopsie sia ecoguidate che stereotassiche con guida del mammografo e il software possiede stereotassi in 3d e quindi la macchina localizza perfettamente il punto del prelievo. Poi c’è la risonanza magnetica con e senza mezzo di contrasto, Dove ci sono controindicazioni alla risonanza da alcuni anni a Rovereto c’è la possibilità di effettuare la mammografia con contrasto

Quante donne, pur ricevendo la lettera con l’appuntamento, non si presentano per fare la mammografia?

Aderisce alla chiamata l’82% delle donne. La centralizzazione può aver creato qualche problema in termini di trasferimenti per chi abita nelle valli, ma molto è stato fatto anche per facilitare i trasferimenti, grazie anche alla Lilt. Forse non tutti hanno compreso che è stato possibile aumentare la qualità dello screening proprio centralizzando gli esami. Le migliori macchine e il personale dedicato messi in un unico centro sono garanzia di qualità per tutti.

Quante donne vengono convocate ogni giorno per lo screening?

Tra Trento e Rovereto 150 donne, in un orario che va dalle 7 e 30 del mattino alle 20 di sera.

E quel 18 per cento di donne che non risponde allo screening?

Abbiamo appurato che un 5% sceglie di farsi controllare altrove, ma c’è un 12 per cento che non si controlla affatto. Dobbiamo lavorare su questo, andando nelle scuole, sensibilizzando le nuove generazioni. C’è ancora molta paura. C’è gente che arriva con tumori troppo grandi, tumori ulcerati o metastasi linfonodali perché ha aspettato troppo. C’è paura della diagnosi, c’è paura delle cure. Ma oggi non c’è solo la chemioterapia. Oggi ci sono terapie biologiche, terapie ormonali, terapie chirurgiche conservative. C’è tanto.

E c’è tanta possibilità di sopravvivere?

90%, facendo prevenzione. La prevenzione è davvero l’unica arma vincente che abbiamo. Non si deve avere paura a fare la mammografia. Deve avere paura chi non la fa.

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