Tumori resistenti ai farmaci, «Dobbiamo capire perché»

Due giorni con oltre 200 ricercatori internazionali, tra i quali il premio nobel della medicina Harold Elliot Varmus, per parlare di come fare quando i tumori resistono anche ai farmaci più innovativi. Per studiare perché, a volte, tutte le armi attualmente a disposizione sono spuntate e il cancro sembra non avere rivali.

«In questi anni sono stati però fatti enormi progressi - ha spiegato il premio nobel Varmus a margine del simposio Pezcoller - . Sul fronte della cura sono stati scoperti farmaci in grado di inibire le mutazioni genetiche cause dei tumori e dall’altra sono stati fatti passi avanti sul fronte della capacità di sfruttare il nostro sistema immunitario per attaccare le cellule tumorali».

Eppure ci sono tumori che sono maggiormente «resistenti» rispetto agli altri nelle terapie. «Il tumore non è un’unica malattia e ogni tumore è diverso e si comporta in modo diverso. Certamente ci sono tumori più difficili da trattare di altri - spiega il Nobel - come il tumore pancreatico o quello polmonare. Altri che consentono un approccio più semplice come quello al colon-retto o quello alla mammella. Negli Stati uniti ogni anno ci sono 240 mila nuovi casi di tumore alla mammella ma gran parte sono circoscritti. Più difficile quando si parla di tumori metastatici».

L’obiettivo di questi due giorni e dei ricercatori è cercare di capire perché un tumore che prima rispondeva bene alle cure ad un certo punto smette di farlo. «Si cercano di capire i meccanismi attraverso i quali il tumore diventa “resistente”». Quando si chiede Varmus se è ottimista per quanto riguarda la cura dei tumori lui non si sbilancia troppo. «Sicuramente l’ottimismo serve perché stiamo facendo molto ma il tumore è ancora una malattia che uccide tanto. Molto importante è adesso il ruolo della biologia per capire proprio la resistenza di certi tumori. Ci sono due approcci per affrontare la questione: utilizzare ciò che abbiamo a disposizione, ed utilizzarlo nella maniera migliore. La mia sensazione è che su questo secondo approccio non ne sappiamo ancora abbastanza.

Dobbiamo approfondire le conoscenze di tutti i meccanismi altrimenti non riusciremo a cogliere tutte le opportunità che ci si presentano con nuovi farmaci».
Enzo Galligioni, presidente della fondazione Pezcoller e già primario del reparto di oncologia medica, è convinto che insieme alle cure e alle terapie sia importante anche lo spirito con cui i pazienti affrontano la malattia. «Ho visto tantissimi pazienti nel corso della mia carriera e l’evoluzione è spesso più veloce quando i pazienti si lasciano andare mentre nei pazienti che cercano di resistere l’evoluzione è più lenta. Questo non vuol dire che la depressione fa venire il cancro. Stress e sofferenza non fanno venire il cancro ma possono anticiparne la comparsa come la forza di volontà aiuta ma non guarisce».

Quando poi si parla di farmaci innovativi Galligioni rassicura i pazienti trentini e sottolinea che tutto ciò di cui in questi giorni si parla al simposio c’è anche a Trento. «I farmaci innovativi, gli immunoterapici, ci sono in reparto già da qualche anno e nel 2015, uno dei premiati dalla Fondazione era stato proprio all’immunologo James Allison».

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