Se i ghiacciai delle Alpi si frammentano

di Fabrizio Torchio

Se l’attuale trend climatico dovesse continuare, anche la superficie di un grande ghiacciaio come quello dei Forni, nel gruppo dell’Ortles Cevedale, potrebbe dimezzarsi nel giro di una cinquantina d’anni.
Per il professor Claudio Smiraglia, che quel ghiacciaio lo studia da decenni, stiamo assistendo ad un cambiamento epocale: «In vent’anni - argomenta - la zona liberata dal ghiaccio è stata colonizzata da piccoli alberi». Con il docente - e alpinista - già presidente del Comitato glaciologico italiano - partiamo da qui per «fotografare» la situazione dei ghiacciai.

Sulle Alpi il regresso continua
«L’inverno 2017-18 era stato abbastanza nevoso e ci aspettavamo che le misure a fine estate dessero un rallentamento della riduzione», spiega Smiraglia. «Sul Ghiacciaio Ciardoney (Gran Paradiso, ndr), seguito dalla Società meteorologica italiana, in primavera c’erano oltre 4 metri di neve, ma l’estate è stata una delle più calde: sul Monte Rosa lo zero termico arrivava a 4.700 metri, quindi era tutta fusione, in Dolomiti lo stesso. A fine estate ci siamo trovati con variazioni di spessore medio molto negative, con dati attorno ai 2 metri, sia in Marmolada che in Lombardia e Alto Adige. Ho fatto il bilancio del ghiacciaio della Sforzellina, sopra Passo Gavia, che seguo da 31 anni, e qui c’è stato un collasso della parte terminale che è arretrata di 41 metri rispetto a fine estate 2017. Ormai il ghiacciaio è meno di mezzo kmq ma è rappresentativo della maggior parte dei ghiacciai italiani. Ha perso uno spessore medio di 1,5 metri, dato non altissimo perché si è ricoperto di detriti. Lo spessore medio del ghiacciaio è di circa 20 metri: anche ipotizzando che non cambi nulla, in vent’anni non lo si trova più. Con dei colleghi del Politecnico di Milano abbiamo fatto alcuni scenari possibili di tipo climatico: per i Forni, dove abbiamo spessori nella zona centrale di un centinaio di metri, entro 50 anni avremo una riduzione di oltre il 50% della superficie attuale, fra cento anni non ci sarà più nulla. Questo vale un po’ per tutti i ghiacciai di dimensioni superiori alla Sforzellina. I ghiacciai come li conosciamo stiamo scomparendo».

Il ghiacciaio dei Forni
«Ormai abbiamo tre ghiacciai dei Forni: una volta questo bacino centrale che scendeva a quote abbastanza basse e due colate che vi confluivano. Oggi i due bacini laterali che rifornivano la colata centrale sono separati da una parete di roccia alta decine di metri. Questo vuol dire che, oltretutto, questo ghiacciaio non si ?nutre? più. È quello che stiamo vedendo su tutti i grandi ghiacciai. Quello del Lys, ad esempio, sul Monte Rosa, non è più studiabile: la lingua si è frammentata e non si riesce più a camminarci. Dobbiamo cambiare mentalità e filosofia dell’andare in montagna».

Un regresso rapido
«L’altro fenomeno bellissimo ma drammatico è quello dei laghetti davanti ai ghiacciai: quasi ogni ghiacciaio ha oggi alla fronte una conca d’acqua che incamera calore e sta accelerando la riduzione dei ghiacciai. Il ghiacciaio ?sente? la situazione, si ricopre di queste ?coperte? di sassi che rallentano la fusione, ma questa ?coperta? non è eterna. Questo sta capitando un pochino su tutti i ghiacciai del mondo».

Cosa aspettarci?
«Amo dire che fra pochi decenni diventeranno dapprima simili ai Pirenei, poi ai nostri Appennini. Avremo una riduzione delle risorse idriche e della produzione di energia idroelettrica, ma c’è l’acqua delle falde, di fusione nivale e delle precipitazioni. Oggi l’energia che produciamo, poi, deriva in piccola parte dall’idroelettrico. Cambia la percezione per chi frequenta l’alta montagna e si modifica anche l’aspetto di biodiversità e geodiversità. Sui Forni, la zona liberata dal ghiacciaio, in vent’anni è stata colonizzata dalla vegetazione anche arborea: piccoli larici».

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