La Cantina Pisoni e la sfida Reboro

Una perla del biologico incastonata nella valle dei Laghi, a cavallo tra le Dolomiti e il Lago di Garda. Vento buono, abbondanza di acqua e, soprattutto, tanta passione nel portare avanti una tradizione antichissima: l’Azienda agricola Pisoni, oggi Cantina Pisoni, con sede a Pergolese (Lasino), nasce infatti nel 1852. E nel 1994, i cugini Marco e Stefano Pisoni, avamposto della quarta generazione, hanno deciso di rilevarla interamente, sposando la filosofia del biologico.

Ad oggi la cantina è un gioiello da sedici ettari, tutti in valle dei Laghi e divisi tra la piana delle Sarche e la collina di San Siro. «Produciamo vini biologici da 15 anni, e abbiamo sposato la filosofia biodinamica», racconta Marco. «Abbiamo il Nosiola, che è un vino bianco secco ed è l’unico vitigno autoctono bianco in tutto il Trentino. Lasciando appassire i suoi grappoli, poi, facciamo il vino Santo Trentino doc - che è anche presidio slow food - da non confondere con quello toscano: il nostro - spiega - è poco alcolico e molto dolce, e ha una lavorazione più tradizionale, non ossidativa. Le uve vengono fatte appassire per oltre 6 mesi su appositi graticci, chiamate arèle, vengono pigiate durante la Settimana Santa e la fermentazione è lunga e lenta. Consideri che il mosto ha il 50% di zucchero e che è un vino che deve fare 10, anche 12 anni di cantina prima di vedere una bottiglia».
Tradizione, rispetto dell’ambiente, ma anche tantissima ricerca e innovazione. In questi anni Marco e Stefano non si sono mai fermati, e hanno continuamente sperimentato, scommesso. E, a quanto pare, hanno vinto. Negli ultimi dieci anni, infatti, la cantina ha più che raddoppiato la produzione, passando dalle 40.000 bottiglie del 2008 alle circa 100.000 attuali. «Un grande trampolino per noi fu il premio ricevuto nel 2009 per il nostro vino al concorso nazionale “Pinot nero d’Italia”: dopo otto anni di vittorie altoatesine, lo scettro passò a noi e al nostro Pinot, anche un po’ inaspettatamente. Per il resto, oltre ai nostri canali di vendita, puntiamo tanto sul passaparola: qualcuno viene qui, assaggia, compra, poi parla con l’amico. Per noi è molto importante».


Ancora idee, ancora energia. «Molti anni fa - ricorda Marco - ci venne l’idea di fare un grande rosso. Nel 2009 ci furono i primi assaggi del prodotto fatto con uve biologiche Rebo, e successivamente, con sei aziende della zona del Vino Santo, abbiamo registrato il marchio Reboro: un vino territoriale, quindi, al quale contribuiamo tutti col nostro lavoro». Fatica, e tanta pazienza: perché anche qui c’è l’appassimento delle uve, fino a novembre inoltrato, e una maturazione in botti di rovere, dopo la spremitura e la vinificazione, di tre anni.
Proprio da questo rosso fiore all’occhiello della cantina, è partita una nuova sfida: quella di finanziare un nuovo vigneto, proprio sulla collina di San Siro, dedicato esclusivamente al Reboro. Un investimento per il quale Marco e Stefano hanno deciso di chiamare a raccolta, simbolicamente, tutte le persone che vogliano condividere il cammino: «Non vogliamo viverlo come “il nostro vigneto” - spiega Marco - ma come un posto magico dove tutti gli amanti del Reboro possano sentirsi a casa, dare il proprio nome a una vigna, essere aggiornati su ogni fase di coltivazione e vinificazione». Così, tramite la

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