Disoccupazione femminile, al Sud 22%, al Nord 9%

Il tasso di disoccupazione femminile nel corso del 2017 risulta pari al 21,9% al Sud e al 9,1% al Centro-Nord (il dato nazionale al 12,4%).

È quanto indica una elaborazione Svimez (sulla media dei primi tre trimestri del 2017), secondo cui inoltre se se si guarda alle giovani donne, tra 15 e 24 anni, il divario diventa ben più ampio: con un tasso di disoccupazione femminile in questa fascia di età al 55,3% nel Mezzogiorno e al 27,7% nelle regioni centrali e settentrionali (36,7% in Italia), il doppio.

Inoltre, sottolinea ancora l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, una donna laureata da quattro anni che lavora al Sud ha un reddito medio mensile netto di 300 euro inferiore a quello di un uomo (1.000 euro contro 1.300 euro). Poi il divario, aggiunge Svimez, «pur rimanendo, tende a ridursi».


 

Sfiorano i tre milioni le donne impegnate in un’attività imprenditoriale, nella Penisola. E le loro «creature» proliferano, visto che nel 2017 erano salite di circa 10.000 unità.

Tuttavia, le lavoratrici con figli non superano il 55,2%, cifra che cresce fino al 70,8% (di oltre 15 punti percentuali), invece, per coloro che non hanno conosciuto la maternità. Alla vigilia dell’8 marzo, è questo il variegato panorama dell’occupazione «rosa», affiorato dalle analisi della Cna, dell’Osservatorio dei consulenti del lavoro e di Unioncamere e Infocamere: l’imprenditorialità femminile gode di buona salute, considerato che a coltivarla sono «845.895 titolari d’impresa, 624.491 socie, 1.090.693 amministratrici e 238.682 ricoprono altre cariche» in azienda.

Tassi elevati di donne che si son messe in proprio «si registrano nel Centro e nel Nord-Ovest del Paese», con un’oscillazione da un valore minimo del Trentino Alto Adige (23,4%) a un massimo della Valle d’Aosta (30,2%); il comparto in cui la presenza di imprenditrici è più cospicuo è il commercio dove, fa sapere la Cna, «opera il 23,7%», seguito dalle attività di alloggio e ristorazione (10,5%) e da quelle manifatturiere (10,2%).

Nel 2017 l’Italia è risultata la seconda nazione europea per numero di lavoratrici indipendenti, dopo il Regno Unito. Ulteriori progressi sono stati compiuti di recente: nei 12 mesi precedenti si son contate «quasi 10.000» realtà produttive al femminile iscritte al Registro delle Camere di commercio rispetto all’anno precedente, circa 30.000 al confronto con il 2014, riferiscono Unioncamere e Infocamere.

La rilevazione evidenzia, fra l’altro, l’escalation di attività professionali, scientifiche e tecniche (quelle aumentate di più rispetto al 2016, con +3,8%), noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese. Difficile, però, conciliare cura familiare e carriera: secondo i consulenti del lavoro, nella fascia tra i 25 e i 49 anni (l’età fertile) hanno un incarico fuori casa meno di 6 donne su 10 con almeno un figlio.

E il divario giunge ad «oltre 22 punti percentuali (39,7%)», nel caso la prole aumenti fino a tre. Il 40% delle mamme svolge, poi, l’impiego in regime di part-time, opzione scelta dal 26,3% delle donne senza figli. E sebbene, infine, le pensionate siano 8,4 milioni, solamente il 36,5% gode del trattamento di vecchiaia (ottenuto versando i contributi).

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