Penelope: il cigno di Transacqua ora danza a Londra

di Manuela Crepaz

Primiero-Londra: la leggerezza di un volo di farfalla, con una volontà ed una caparbietà forti celate dietro un’eleganza da étoile in erba e un sorriso aperto e cordiale che evidenzia tutta la sua passione nascondendo la fatica di una disciplina rigorosa.

Lei è Penelope Scarian, di Transacqua, sedici anni freschi freschi (è nata il 12 novembre del 2001), la cui passione per la danza l’ha portata a Londra, ammessa al primo anno dell’English National Ballet School, la scuola ufficiale del famoso National Ballet, che coltiva giovani talenti lungo un percorso di studi triennale, portandoli ad essere danzatori di prim’ordine con una preparazione invidiabile.

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Ha fatto tutto da sola, questo solo all’apparenza esile scricciolo biondo, convincendo mamma, papà e nonna Maria Depaoli a lasciarle spiccare il primo volo ancora cinque anni fa: aveva solo dieci anni quando, finite le scuole elementari, ha deciso di partire e vivere a Castelfranco Veneto e seguire il percorso di studi a «Il Balletto», diretto da Susanna Plaino. Lì ha studiato tutti i giorni punte, repertorio, passo a due e contemporaneo e ha cominciato a partecipare con successo e soddisfazioni a concorsi, spettacoli e gala con coreografie di gruppo e solisti.

Il suo papà, il forte free climber Riccardo Scarian, l’ha salutata così: «Eri piccina quando sei partita da casa per inseguire un sogno, una passione che ti ha fatta crescere forse troppo in fretta, ma che con grandissima determinazione e amore ti ha portata dove volevi essere! Ora sei dove quel sogno voleva portarti. Inizia una nuova avventura mia piccola grande Penelope, continua a sognare...», mentre la sua mamma, Giorgia Scalet, le ha augurato ogni bene: «E ora vola, uccellino mio, una nuova vita inizia nella città che hai sempre sognato, ti lascio sapendoti determinata, ottimista, felice, gli auspici sono propizi».

In questo periodo, non ha lontano il fratello maggiore, il musicista Carlo, che ha deciso, dopo il liceo a Feltre e un anno negli Stati Uniti, di proseguire gli studi in matematica all’università di Cambridge. Ci racconta: «Abbiamo genitori coraggiosi, ci hanno sempre spinto ad ampliare i nostri confini, sia culturali che territoriali. Ho sempre apprezzato questa libertà. In famiglia ci si vede poco, ma siamo molto uniti».

E Penelope, molto volentieri si è ritagliata un po’ di tempo per risponderci, da Londra, alle nostre curiosità.

Quando hai cominciato ad indossare il tutù e muoverti sulle punte?

«Avevo sei anni. La mia passione per la danza è nata dalla primissima lezione che ho preso. Nonostante fosse amatoriale e io fossi molto giovane, qualcosa di quell’arte mi ha attratta fin da subito e da allora non ha mai smesso. Ho iniziato a frequentare il corso di danza della Scuola Musicale di Primiero a 6 anni per due ore a settimana e ho continuato a Levico Terme per un anno. A dieci anni mi sono trasferita a Castelfranco Veneto per iniziare un corso ad avviamento professionale alla scuola di danza “Il Balletto” diretta da Susanna Plaino. Lì ho iniziato ad allenarmi per diverse ore sei giorni a settimana ogni anno, incrementando numero di ore ed intensità di allenamento. Sono rimasta lì per cinque anni, dove ho incontrato dei veri e propri insegnanti di vita che mi hanno resa quella che sono oggi e che mi hanno aiutata ad arrivare a questo punto».

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Cosa vuol dire impegnare la vita per la danza?

«Se una persona decide di dedicarsi in modo professionale alla danza deve essere cosciente al 100% del fatto che tutte le sue energie mentali e fisiche vanno concentrate lì, è una disciplina che richiede infinite ore di tempo da dedicare al raggiungimento della perfezione tecnica. Richiede l’anima di un artista che attraverso il suo corpo deve saper emozionare e trasmettere qualcosa al pubblico che gli sta di fronte. Bisogna avere la passione necessaria che ti renda disposto a fare infiniti sacrifici e un carattere estremamente forte, temprato per sopportare i tanti momenti di sconforto e stanchezza, talvolta a livelli così estremi che sono difficili da immaginare. Le soddisfazioni purtroppo non vengono da sé, ma si guadagnano con tanto duro lavoro a testa bassa, con costanza, impegno e intelligenza. Personalmente i momenti più soddisfacenti per me sono le performance, spettacoli o concorsi. Non per i commenti che ricevo, ma piuttosto per le sensazioni che provo nel mentre. È una sensazione indescrivibile che però appena la si prova, si capisce il perché lo si stia facendo, il perché di tutte le ore spese in una sala».

Com’è l’ambiente della danza?

«L’ambiente è uno dei più duri secondo me, per il semplice fatto che ci sono tanti ballerini e pochi contratti di lavoro, quindi la competizione raggiunge livelli estremi, alle audizioni ed ai concorsi in particolar modo. Tutti hanno speso tanto tempo e soldi per arrivare lì e sono disposti a qualsiasi cosa pur di farsi vedere da direttori e giurati ed ottenere un posto in scuole o compagnie importanti».

Come sei arrivata all’English National Ballet School?

«Ci sono arrivata maggiormente con la preparazione di Susanna Plaino e lo staff de “Il Balletto” di Castelfranco. Mi hanno sostenuta e preparata ai ritmi che devo sostenere ora e ad un eventuale lavoro in futuro. Sono stata ammessa tramite preaudizione italiana e audizione finale a Londra. Sono felicissima di essere qui perché mi sento ispirata dall’ambiente che mi circonda e penso che questa scuola dia ai suoi studenti eccellenti opportunità di apprendimento ed esperienze lavorative molto significative».

Ci descrivi una tua giornata tipo?

«Prima di trasferirmi a Londra frequentavo un liceo pubblico al mattino e spendevo il resto della mia giornata a danza, facendo lezioni e prove. Qui i ritmi sono cambiati e dedico tutta la mia giornata alla danza. Una mia giornata tipo inizia alle 5 e mezza o 6, arrivo a scuola alle 8 ed alle 8 e mezza, dopo essermi riscaldata a dovere, svolgo la lezione di classico per 1 ora e 45. Poi potrebbe proseguire con una lezione di punte, repertorio, danza di carattere, contemporaneo, passo a due, fitness o in alcune giornate con una lezione teorica che potrebbe essere di anatomia, storia della danza, benesh notation (un sistema per documentare danza e movimenti del corpo, ndr), nutrizionismo, psicologia per performers e così via. Ho una pausa pranzo in mezzo e dei piccoli break ogni due lezioni. Solitamente faccio dalle 6 alle 7 lezioni e la mia giornata finisce tra le diciassette e le diciotto».

Perché hai scelto di “volare” all’estero?

«Innanzitutto Londra è sempre stato il mio sogno, quindi non avrei mai buttato via l’opportunità di realizzarlo, ma anche perché la danza in Italia non fa più parte degli interessi e della cultura della popolazione e quindi sta pian piano crollando, non creando quindi molte opportunità lavorative per noi studenti ancora in crescita. Inoltre ho sempre amato personalmente quello che questa città offre in generale ai giovani pieni di sogni e aspettative di vita, oltre che la mentalità aperta e le differenze culturali. Ovviamente ogni tanto ho nostalgia della mia valle, dei miei amici e della famiglia, ma so anche che da quando sono qui amo la mia vita come non ho mai fatto prima perché ho la possibilità di coltivare la mia passione nel posto che ho sempre sognato ogni giorno. Non darò mai per scontato il fatto di aver avuto una famiglia così meravigliosa alle spalle che mi ha sempre sostenuta, aiutata e consigliata nelle mie scelte e decisioni fatte».

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Com’è vivere in una metropoli in questo periodo di Brexit e terrorismo?

«La Brexit per il momento non ha influenzato troppo la permanenza in Inghilterra mia e di mio fratello devo dire, c’è solo da tenere d’occhio la questione sterlina/euro. Per quanto riguarda il terrorismo, io sono dell’opinione che nessuno di noi possa lasciarsi spaventare o fermare dal realizzare i propri sogni od obiettivi perché così facendo, si dà loro ciò che vogliono ottenere. Bisogna provare ad andare avanti con le proprie vite senza troppe paranoie perché così si può combattere nel proprio piccolo. Inoltre, le probabilità di essere coinvolti in un attacco sono minime tanto quanto quelle di avere un incidente di qualsiasi natura in qualsiasi luogo».

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